Homo zappiens

Tempo di lettura: 4 mins

Siamo entrati nell'era digitale ed è nata una generazione di giovani che, formatisi sulle nuove tecnologie - computer, videogiochi, telefonini, internet - , le usano con grande disinvoltura e insieme con profonda indifferenza per i loro meccanismi profondi, attenti solo all’utilizzo opportunistico. Per indicare questa generazione digitale, Wim Veen e Ben Vrakking, rispettivamente professore e ricercatore all'Università di Delft, in Olanda, hanno coniato la locuzione Homo Zappiens, che ha un sapore antropologico benché in verità sia piuttosto sgraziata (si veda Wim Veen, Ben Vrakking, Homo Zappiens. Crescere nell'era digitale, Edizioni Idea, Roma, 2010).

I giovani Homo Zappiens (HZ) sono abilissimi nel gestire il potente flusso di informazioni che circola nei nuovi media, nell'intrecciare le comunicazioni faccia a faccia con quelle virtuali e nello sfruttare gli interlocutori connessi in rete per risolvere in modo collaborativo i loro problemi. Secondo Veen e Vrakking la generazione HZ sarà catalizzatrice e protagonista di cambiamenti essenziali nel nostro modo di vedere il mondo, di comunicare e di apprendere. In particolare, HZ indurrà una profonda metamorfosi nella scuola, che sarà obbligata a rinnovarsi e ad abbandonare la struttura tradizionale per la robusta concorrenza di Internet, protagonista di un incremento impressionante (e accattivante) dei flussi d'informazione, che per la vecchia generazione è un sovraccarico, ma che per HZ è un ricco giacimento nel quale reperire i dati di volta in volta utili. HZ apprende esplorando e giocando, cioè trasferendo le tecniche dei videogiochi a problemi di varia natura e impadronendosi di conoscenze che non fanno più parte di un canone scolastico fisso ma sono negoziabili e mutevoli a seconda del contesto e delle circostanze. Per Veen e Vrakking, questa capacità di apprendimento flessibile sarà utilissima a HZ nella società della conoscenza “liquida” che si profila, caratterizzata da indeterminatezza e instabilità, dall'apprendimento continuo e dalla necessità di imparare e disimparare rapidamente.

Il rapporto di HZ con la scuola è all’insegna di un tempo di attenzione breve, di un comportamento iperattivo, di un’indipendenza individualistica nel processo di apprendimento: queste caratteristiche fanno dello scolaro HZ un soggetto difficile ma stimolante, che richiede metodi di insegnamento nuovi e originali. Ed è la scuola che si deve adattare, sia perché è impensabile piegare i giovani digitali alle vecchie pratiche dell’insegnamento sia perché la società che si annuncia avrà bisogno di persone capaci di affrontare la complessità, la mutevolezza, l'adattamento e l'incertezza. Gli insegnanti sono sottoposti a una forte tensione pedagogica e relazionale, che deriva dalle diverse abitudini cognitive e attive rispetto a HZ e dalla diversa architettura cerebrale. I giovani digitali sono impazienti, vogliono immediatamente le risposte ai loro quesiti, non si concentrano per risolvere categorie di problemi, ma si gettano sul caso particolare passando subito oltre, non fanno mai una sola cosa alla volta, saltano da Internet alla Tv, dal cellulare all'iPod con una divisione di tempo vertiginosa che sfiora la simultaneità del multitasking. Mentre fanno i compiti ascoltano musica, gettano uno sguardo allo schermo Tv, inviano un sms e un messaggio e-mail a un “amico” appena conosciuto su Facebook, inseriscono il loro ultimo video in YouTube, e, davanti alla Tv, esercitano uno zapping ossessivo, apparentemente insensato, in realtà utile per estrarre il meglio da ciascun programma visitato.

Quella dei due autori olandesi è una visione utilitaristica, improntata all'efficienza e all'ottimismo tecnologico. Essi non sfiorano neppure i problemi etici e psicologici legati alla virtualizzazione di tutte le esperienze e della stessa realtà. Le tecnologie della mente sono viste soltanto come fautrici di nuove ed esaltanti possibilità cognitive. L'unico cenno problematico riguarda l'impigrimento di HZ, che tende ad esercitare solo la mente, a scapito del corpo.

Tutto ciò è il risultato dell'incontro precoce con una realtà “virtualizzata”, cioè filtrata dai dispositivi digitali, e con la possibilità di comunicare a costo nullo senza limiti spaziali. Armati di telecomando, mouse e cellulare, hanno il mondo a portata di clic, non conoscono i tempi lunghi della riflessione e ai libri e agli svaghi all'aria aperta preferiscono i videogiochi, anche i più violenti, senza imbarazzi morali. HZ non ama la tecnologia di per sé, bensì per ciò che può consentirgli di fare, dimostrando che la generazione digitale adotta un atteggiamento magico, strumentale e indifferente. Ma il protagonismo comunicativo di HZ può giungere fino a forme di autoreferenzialità e autismo tecnologico di cui parleremo in seguito: assuefazione, intossicazione, hikikomori.

Le caratteristiche di HZ segnano il passaggio da (una società e da) una scuola di massa a una scuola modellata sui singoli: non più programmi ed esami uguali per tutti, ma ampia libertà per ciascuno di ritagliarsi il proprio percorso di studi, da seguire con i tempi individuali; non più insegnanti ma tutori, cioè assistenti per superare i momenti di difficoltà; niente libri e niente compiti a casa. Verso questa concezione rivoluzionaria della scuola si stanno già orientando alcuni istituti olandesi, che indubbiamente costituiscono un esempio su cui riflettere.

Gli autori manifestano nei confronti di HZ un entusiasmo profetico, e non sembrano porsi il problema di come questi giovani affronteranno il sodo e indocile mondo reale che, nonostante le sue derive virtuali, è per il momento ben lungi dallo scomparire nelle pieghe del ciberspazio. Poiché HZ costituisce ancora una piccola minoranza, si pone il problema dei rapporti con la maggioranza non digitale. E poi: quali strutture di governo e conduzione potrà avere la società liquida (o ameboide) del futuro, gestita da questi liquidi digitalisti? E' un bell'esercizio di futurologia sociopolitica. (8-continua)