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Pesticidi e rischio tumori: l'Oms mette in guardia

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Lo IARC (International Agency for Research on Cancer) di Lione, massima autorità in materia di studio degli agenti cancerogeni, ha inserito nel Gruppo 2A, quello che racchiude le sostanze probabilmente cancerogene per gli esseri umani, ma per le quali le evidenze sono ancora limitate, tre principi attivi ampiamente utilizzati nella composizione di fitofarmaci: malathion, diazinon e glifosato.
Lancet Oncology
ha pubblicato un sunto delle motivazioni che hanno portato 17 esperti da 11 paesi a giungere a questa conclusione, mentre le valutazioni dettagliate saranno pubblicate sulla Monografia 112 dello IARC.

Il malathion è un insetticida utilizzato non solo in agricoltura, ma anche in igiene pubblica (per esempio per combattere i pidocchi) e per la disinfestazione domestica. Prodotto in quantità consistente in tutto il mondo, è stato collegato a casi di linfoma non-Hodgkin negli USA, in Canada e in Svezia in seguito a esposizioni di tipo professionale. Questo anche se l’Agricultural Health Study (AHS), progetto ad ampio raggio nato con l’obiettivo di indagare la relazione tra il vivere e lavorare in campagna e la possibilità di ammalarsi di tumore, non aveva evidenziato un aumento di rischio per questo tipo di cancro.
Sia l’AHS sia alcuni casi di studio canadesi hanno invece associato l’utilizzo professionale di malathion a un aumentato rischio per il cancro alla prostata. Esperimenti su animali e in vitro hanno corroborato l’ipotesi di danni al DNA e al corredo cromosomico.

Anche il diazinon è un insetticida, utilizzato sia in agricoltura sia in ambienti domestici. L’Unione Europea lo ha fortemente limitato nel 2007 (l’Italia ha revocato le autorizzazioni concesse in precedenza a prodotti fitosanitari a partire dal giugno di quell’anno). La sostanza è stata associata a un aumento del rischio per il linfoma non-Hodgkin, oltre che per il cancro al polmone. Le prove sono tuttavia limitate e provenienti da studi sulle esposizioni in campo agricolo realizzate negli Stati Uniti (AHS) e in Canada. L’inserimento del diazinon nel Gruppo 2A è comunque legata anche alle prove, questa volta tutt’altro che deboli, dei danni che la sostanza ha provocato a DNA e cromosomi nel corso di esperimenti in vitro.

La vicenda del glifosato è la più complessa. Anche in questo caso ci sono prove limitate di un suo legame con il linfoma non-Hodgkin, sempre derivanti da studi pubblicati fin dal 2001 in USA, Canada e Svezia relativi all’esposizione in ambiente agricolo. Si tratta di un erbicida utilizzato nella composizione di 750 diversi prodotti destinati non solo all’agricoltura, ma anche alle applicazioni domestiche e urbane.
Come mai la sua vicenda è complessa? Perché basandosi sull’evidenza che il glifosato fosse all’origine di vari tumori nei topi, l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (US EPA) nel 1985 l’aveva inserito tra le sostanze che “forse provocano il cancro negli uomini”. Sei anni dopo, la stessa Agenzia declassò la sostanza a “non cancerogena per gli esseri umani”. Il gruppo di lavoro dello IARC, analizzando le scoperte più significative, è arrivato alla conclusione che sussistano prove sufficienti della cancerogenicità su animali da laboratorio, oltre che prove di danni al DNA e al corredo cromosomico di cellule umane.
La decisione è stata rinforzata dal fatto che tracce di glifosato e del suo metabolita AMPA sono state rilevate nel sangue e nell’urina dei lavoratori esposti. Inoltre, uno studio del 2009, che riporta i risultati del biomonitoraggio di lavoratori agricoli provenienti da cinque diverse zone della Colombia, ha rilevato un aumento nel sangue dei marcatori che indicano danno cromosomico in seguito all’irrorazione di preparati a base di glifosato. Nei topi e in vitro, sia il glifosato sia preparazioni a base di glifosato sia il metabolita AMPA hanno indotto stress ossidativo.
Una combinazione di elementi che ha convinto gli esperti dello IARC a classificare la sostanza come un probabile cancerogeno. 

Le reazioni

Le conclusioni a cui è arrivato il gruppo di lavoro dello IARC e la conseguente classificazione in 2A di questi tre principi attivi hanno ovviamente incontrato l’opposizione dell’industria (Monsanto, il cui prodotto RoundUp è a base di glifosato, e consorzio Glyphosate Task Force), secondo cui non sarebbero stati presi in esame studi che dimostrino la non pericolosità del glifosato nell'uomo.
E’ vero che gran parte della letteratura scientifica sull’argomento riporta evidenze limitate, ma è anche vero che è difficile stabilire un nesso causale tra un particolare principio attivo e una patologia quando le esposizioni sono multiple e non limitate solo a pesticidi. La maggior parte degli studi fa riferimento ai risultati derivanti dall’Agricultural Health Study, per il quale sono state reclutate circa 90mila persone tra il 1993 e il 1997 nell’Iowa e nel North Carolina. Si tratta di lavoratori o familiari di lavoratori agricoli, che nel tempo sono stati a contatto con decine di pesticidi diversi. E la necessità di uno studio di così ampio respiro, focalizzato sui pesticidi, è stata avvertita in seguito all’aumento dell’incidenza delle diagnosi di linfoma non-Hodgkin tra la metà e gli ultimi anni del ‘900, cioè a seguito dell’espansione dell’utilizzo di pesticidi organici sintetici.
La classificazione non avrà comunque effetti pratici, almeno nell’immediato. Come spiega lo stesso IARC, infatti, “le Monografie propongono valutazioni scientifiche aggiornate, ma rimane responsabilità dei singoli governi e di altre organizzazioni internazionali il raccomandare interventi di regolamentazione e legislazione a tutela della salute pubblica”.

In Italia

Gli ultimi dati pubblicati dall’ISTAT sull’utilizzo di prodotti fitosanitari in Italia mostra un trend in netto calo. Nel periodo 2002-2013, la quantità di sostanze distribuite per uso agricolo è diminuita complessivamente di 76mila tonnellate (-45,2%). La maggior parte viene utilizzata al Nord (53,1%), mentre il Sud si ferma al 34,6% e il Centro supera di poco il 12%.
Nel 2012 sono state irrorate circa 61,8 tonnellate di principi attivi, mentre nel 2013 si è scesi a 55,6 tonnellate. Nel 2006, l’Italia deteneva il record nell’Unione Europea per l’utilizzo di pesticidi: 81,45 tonnellate di principi attivi, contro le 71,6 della Francia e le 31,8 della Germania.
L’ISPRA, nell’ultima edizione del Rapporto nazionale pesticidi nelle acque, basato sui dati forniti da 3.500 punti di campionamento, ha evidenziato come siano state trovate 175 sostanze diverse, un numero più elevato degli anni precedenti. Rispetto al passato è aumentata la presenza di fungicidi e insetticidi nelle acque sotterranee.
La contaminazione è più diffusa nelle aree della pianura padano-veneta, zona intensamente sfruttata dal punto di vista agricolo. Il glifosato è una delle sostanze più vendute a livello nazionale e la sua presenza nelle acque è ampiamente confermata anche da dati internazionali, ma il suo rilevamento è effettuato solo in Lombardia, dove la sostanza è presente nel 31,8% dei punti di monitoraggio (171) delle acque superficiali e il suo metabolita, AMPA, nel 56,6%.
A questi dati fanno riferimento anche i Medici per l’Ambiente (ISDE Italia), che in un recente documento sui pesticidi chiedono l’applicazione del principio di precauzione per tutte le sostanze in cui effetti siano ancora poco chiari, in fase di studio o del tutto sconosciuti. Per le sostanze la cui tossicità sia stata documentata, l’ISDE propone l’adozione di misure rigorose di protezione e prevenzione, fino ad arrivare all’imposizione di divieti di utilizzo. “Le evidenze di tossicità acuta e cronica - spiegano - sono di gran lunga più solide e convincenti delle evidenze di safety.


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