fbpx Paleolitico, quando i sapiens non erano soli | Scienza in rete

Paleolitico, quando i sapiens non erano soli

Primary tabs

Tempo di lettura: 2 mins

Simplified phylogeny of the species Homo sapiens (modern humans) for the last 600,000 years. Fonte: Wikimedia

L’articolo che Svante Pääbo e i suoi collaboratori hanno pubblicato il 23 dicembre su Nature ha confermato ciò che i dati molecolari avevano già messo in evidenza nel marzo di quest’anno: la presenza nel continente eurasiatico di un cespuglio numeroso di forme ominine durante il Pleistocene superiore. Insomma, un albero evolutivo dell’umanità più copioso di quello disegnato sulla base dei reperti fossili.

Infatti, il sequenziamento dell’intero genoma ottenuto dal materiale genetico estratto dalla falange di un antico ominino rinvenuta nella grotta Denisova in Siberia meridionale e datata 50.000-30.000 anni fa ha supportato quanto inferito dal DNA mitocondrale.

Questo nostro parente arcaico, che oggi sappiamo essere di sesso femminile, faceva parte di un gruppo che ha condiviso con i Neandertaliani un antenato comune ma che ha poi sviluppato una storia evolutiva distinta sia dalla loro che da quella della nostra specie. I denisoviani - così Svante Pääbo il leader del gruppo di ricerca che ha condotto le analisi ha deciso di chiamare la popolazione del nuovo ominino per evitare le polemiche e le controversie che avrebbe suscitato la designazione tassonomica linneana di una nuova specie o sottospecie, diatriba possibilmente ancora più accesa perché per la prima volta si sarebbe avuto un olotipo molecolare e non fossile - potrebbero aver avuto un areale di distribuzione molto vasto in Asia nel periodo tardo pleistocenico.

Alcuni fossili rinvenuti in Cina ad esempio non presentano caratteristiche anatomo-morfologiche simili a quelle di altri rappresentanti del genere Homo che vivevano in quelle zone e in quel periodo, come il cranio di Dali della Cina centrale risalente a 200.000 anni fa. E un molare scoperto nella stessa cava dove è venuta alla luce la falange e che ha mostrato un profilo mitocondriale identico presenta una morfologia non collegabile a quella neandertaliana. Ci sarebbero state pertanto due forme distinte: quella tipica dell’area occidentale caratterizzata da tratti neandertaliani e un’altra distribuita ad oriente alla quale appartengono i resti di Denisova.

Ma il risultato forse più interessante è che il confronto del genoma dei denisoviani con quelli di Neandertal e di individui della nostra specie provenienti da diverse parti del mondo indica chiaramente che circa il 4-6% del loro materiale genetico è passato nei geni delle attuali popolazioni melanesiane che vivono nella Nuova Guinea e in alcune isole del Pacifico. Ciò suggerirebbe che una volta avvenuta la divergenza degli antenati dei papua attuali dalle altre popolazioni di uomini moderni durante la loro migrazione verso est essi si sarebbero mescolati con i denisoviani come i dati genetici indicano, ma al momento non è chiaro quando, dove e in che misura la commistione sarebbe avvenuta.

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Intelligenza artificiale ed educazione: la ricerca di un incontro

Formazione ed educazione devono oggi fare i conti con l'IA, soprattutto con le intelligenze artificiali generative, algoritmi in grado di creare autonomamente testi, immagini e suoni, le cui implicazioni per la didattica sono immense. Ne parliamo con Paolo Bonafede, ricercatore in filosofia dell’educazione presso l’Università di Trento.

Crediti immagine: Kenny Eliason/Unsplash

Se ne parla forse troppo poco, almeno rispetto ad altri ambiti applicativi dell’intelligenza artificiale. Eppure, quello del rapporto fra AI ed educazione è forse il tema più trasversale all’intera società: non solo nell’apprendimento scolastico ma in ogni ambito, la formazione delle persone deve fare i conti con le possibilità aperte dall’IA.