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Le potenzialità dei giovani chimici italiani

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I giovani chimici italiani, formalmente quelli che non hanno ancora superato i 35 anni di età, rappresentano una grossa fetta della comunità dei chimici che fa capo e si riconosce nella “Società Chimica Italiana”. A dimostrazione di questo basti pensare che il “gruppo giovani” della SCI è il gruppo con più soci membri rispetto a tutti gli altri gruppi e divisioni della stessa società.

Già in occasione dell’ultimo congresso nazionale dei chimici, la ventiquattresima edizione tenutasi a Lecce dall’11 al 16 settembre 2011, il gruppo giovani, e in particolare il suo presidente Massimiliano Lo Faro del CNR-ITAE di Messina, aveva organizzato una sessione plenaria dedicata ai giovani chimici italiani che si sono distinti a livello europeo e internazionale per le loro ricerche. Uno dei temi caldi affrontato un po’ da tutti i relatori è stato l’accesso dei giovani ricercatori ai finanziamenti pubblici per la ricerca.

I giovani invitati a parlare delle loro esperienze sono stati: Bruno Pignataro, dall’Università di Palermo, Leonard Prins e Fabrizio Mancin, dall’Università di Padova, Leonardo Guidoni, dall’Università de L’Aquila, Alfonso Pedone, dall’Università di Modena e Reggio, e la sottoscritta, dall’Università di Pisa.

Età media: 37 anni e mezzo circa; tutti hanno ricevuto più di un grant a livello europeo, se non a livello internazionale, e rappresentano il top in fatto di qualità e risultati della ricerca, ognuno nel proprio settore specifico. Tutti hanno deciso di rimanere a lavorare in Italia dopo svariate esperienze all’estero; non tutti, però, hanno ancora ottenuto una posizione permanente nell’Accademia, nonostante l’indubbia eccellenza.

Bruno Pignataro, uno dei pochi chimici ad aver ricevuto un finanziamento dal MIUR, nella fattispecie è coordinatore di uno dei pochissimi progetti Firb – Futuro in ricerca finanziati con il bando del 2008, ha recentemente pubblicato alcuni libri in cui ha raccolto le storie dei migliori giovani chimici europei. Come coordinatore dell’European Young Chemistry Award (EYCA), il premio ai migliori giovani chimici europei istituito nel 2006 e sostenuto da EuCheMS (European Association for Chemical and Molecular Sciences), Pignataro ha potuto stilare qualche statistica in cui emerge che: 1. Gli italiani, insieme agli spagnoli, sono i più rappresentati (12% - 14%) tra coloro che partecipano alla competizione europea; 2. In tutte le edizioni, tra i 16 finalisti, gli italiani sono sempre stati presenti e in alcuni casi sono risultati tra i vincitori (medaglia d’oro e medaglia d’argento).

Che il contesto europeo sia ormai diventato fondamentale per la ricerca, lo testimoniano le storie di Leonard Prins e Fabrizio Mancin, entrambi vincitori di uno starting grant ERC: il primo con il progetto “Dynamic covalent capture: Dynamic chemistry for biomolecular recognition and catalysis” (2009-) e il secondo con un progetto su “Patterning the surface of monolayer-protected nanoparticles to obtain intelligent nanodevices” (2010-). Questi grant hanno permesso e continueranno a garantire ai due ricercatori non solo di avanzare in carriera, ma soprattutto di essere sostenuti economicamente nella creazione di un team di ricerca e di un laboratorio d’avanguardia, cosa che, purtroppo, i finanziamenti nazionali non fanno quasi mai.

La storia del fisico, oggi professore di chimica fisica, Leonardo Guidoni ben rappresenta invece le peripezie di molti giovani ricercatori che con grande passione e non pochi sacrifici rincorrono il sogno di poter costruire un proprio spazio, di autonomia e di qualità, nell’Università Italiana. Guidoni, infatti, ha svolto le sue ricerche nel campo della biofisica computazionale, modellistica e biochimica in ben sette città diverse, da Roma a Losanna, da Trieste a Zurigo. Infine, è potuto rientrare in Italia con il programma “Brain drain”, ovvero “Ritorno dei cervelli”, e può ora dirigere un team di ricercatori grazie al grant europeo “IDEAS”.

Il più giovane degli invitati, Alfonso Pedone, è un chimico computazionale che vanta già diversi riconoscimenti come il Premio “Primo Levi” e “Vincenzo Caglioti”, dalla SCI e dall’Accademia dei Lincei, rispettivamente. I suoi studi su nuovi materiali inorganici a base di silice sono stati finanziati da Telecom Italia con un progetto ospitato all’interno della Scuola Normale Superiore. Il suo è un esempio di positiva interazione tra interesse industriale e ricerca accademica di alto livello.

Per quanto mi riguarda, quello che mi accomuna con gli altri colleghi sono gli anni svolti all’estero, come Post-doc e Marie Curie Fellow, così come vari riconoscimenti, ottenuti per le mie ricerche nel campo della chimica fisica della soft matter, dallo IUPAC Young Chemist Award all’Otto Lehmann Award. Uno degli aspetti che mi differenzia è banalmente la differenza di genere. Purtroppo, infatti, pur essendo le donne molto attive nella ricerca scientifica e rappresentando la maggioranza dei giovani chimici, l’affermazione delle donne in posizioni di leadership, anche solo all’interno di un team di ricerca, non rispecchia affatto le loro potenzialità. Come borsista del premio “L’Oreal Italia – Unesco. Per le donne e la scienza” la mia testimonianza vuole sottolineare proprio questo delicato aspetto.

Bibliografia:
Pignataro, in “Tomarrow’s Chemistry Today”, 2009, Wiley-VCH, Weinheim.
Pignataro, Chem. Eur. J. 2010, 16, 13888-13893.


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