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Da Roma la promozione dei farmaci come prevenzione

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A leggere i titoli delle sessioni scientifiche della sesta conferenza della International AIDS Society (a Roma dal 17 al 20 di luglio) si ha la netta impressione che la prevenzione sia di nuovo al centro della scena della ricerca sulla malattia da HIV. Ma la presenza di sessioni come “The future of  ARV based prevention” (il futuro della prevenzione basata sugli antiretrovirali) o “Zeroing out new infections with new prevention tools and technologies” (azzerare le nuove infezioni con i nuovi strumenti e le nuove tecnologie di prevenzione) ci fa anche capire come  questa conferenza potrebbe certificare il definitivo abbandono dell’approccio alla prevenzione che ha prevalso nei primi venti anni dell’epidemia di AIDS. Negli anni ’80 e ’90 del XX secolo infatti la prevenzione dell’infezione da HIV è stata basata principalmente su interventi di informazione e di modifica dei comportamenti rivolti a persone a rischio  di contrarre l’infezione da HIV. 

Ma negli ultimi dieci anni, a partire dalla sempre più alta disponibilità di farmaci attivi nel contrastare la progressione clinica dell’infezione e nel ridurre al contagiosità delle persone sieropositive, si è iniziato sempre più diffusamente a parlare di “treatment as prevention” e cioè del ruolo fondamentale del trattamento come strumento di prevenzione. L’idea non è nuova. Ad esempio il cardine degli interventi di controllo della tubercolosi è stato negli ultimi decenni, ed è tuttora, identificare il più rapidamente possibile e trattare le persone malate per renderle non contagiose. Ma certo nel campo della malattia da HIV questo approccio rappresenta una vera rivoluzione copernicana. E questa rivoluzione trae sicuramente forza dai risultati  dello studio  HIV Prevention Trials Network (HPTN) 052 che si annuncia come la vera star di questa conferenza. I dati preliminari di questo studio infatti, resi pubblici a maggio di quest’anno, mostrano una riduzione del 96 % del rischio di trasmissione di HIV in coppie nelle quali il partner con infezione da HIV aveva iniziato precocemente il trattamento (documento studio). Lo studio era iniziato nel 2005 ed ha arruolato 1736 coppie eterosessuali nelle quali un solo partner era positivo per HIV in Botswana, Brasile, India, Kenya, Malawi, Sud Africa e Zimbabwe. All’arruolamento i pazienti con HIV dovevano avere una conta di CD4 (una misura del danno al sistema immunitario) compresa tra 350 e 550 cellule/mmc, e sono stati randomizzati a iniziare immediatamente la terapia o a cominciarla quando i CD4 avessero raggiunto la soglia delle 250 cellule /mmc, cioè al livello previsto dalle linee guida OMS che suggeriscono l’inizio della terapia a livelli già avanzati di danno immunitario. 

Nel corso dello studio  sono state registrate 28 infezioni causate da un virus geneticamente correlato a quella del partner positivo, e di queste 27 si sono verificate nelle coppie nelle quali il partner positivo non aveva iniziato immediatamente il trattamento. Si tratta appunto di una riduzione del rischio del 96% che ha indotto il Data and Safety Monitoring Board a raccomandare la conclusione dello studio che doveva continuare fino al 2015.

In definitiva questo studio clinico randomizzato e controllato  conferma ampiamente  quanto era stato suggerito da precedenti studi osservazionali. Ad esempio, in uno studio pubblicato nel 2010 e condotto su 3381 coppie eterosessuali discordanti per infezione da HIV, erano stati registrati 103 episodi di trasmissione confermati dall’analisi genetica e di questi solo uno si era verificato in una coppia nella quale il partner positivo era in trattamento. Questo corrispondeva a una riduzione del rischio del 92% .

Quali sono allora i problemi che restano sul tavolo nel proporre una politica di accesso immediato al trattamento come strumento centrale del controllo della diffusione dell’infezione?
Il primo problema è sicuramente quello di dimostrare che chi inizia il trattamento ad alti livelli di CD4 oltre a divenire meno contagioso, ha anche dei benefici individuali di salute. Il secondo problema riguarda l’identificazione tempestiva delle persone con infezione da HIV. Oggi infatti, anche nei paesi industrializzati, in un’alta percentuale di casi l’infezione da HIV viene diagnosticata in uno stadio avanzato. E d’altra parte le iniziative intraprese per favorire una diagnosi precoce incontrano non pochi ostacoli. Il terzo problema riguarda i costi. Una strategia di offerta allargata del test e di trattamento immediato delle persone con HIV ha molto verosimilmente un favorevole rapporto costo-efficacia e può determinare nel medio periodo anche una riduzione dei costi totali di assistenza dovuta ad una diminuzione dell’incidenza di nuove infezioni. Tuttavia la sua implementazione richiede un sostanziale aumento di spesa nell’immediato a fronte dei benefici futuri per la salute delle persone con HIV e  per il controllo della malattia. E realizzare questi investimenti appare problematico non solo nei paesi ad alta endemia ma anche nel mondo industrializzato.
Infine appare evidente che gli effetti a lungo termine di questa strategia sono legati alla disponibilità di terapie con una bassa incidenza di effetti collaterali e che mantengano nel tempo una elevata efficacia.

La conferenza dovrà affrontare allora il problema di come passare dalla dimostrazione sperimentale della efficacia del “trattamento come prevenzione” alla pianificazione di una strategia per rendere disponibile questo intervento su larga scala. Andrà anche discusso come costruire una offerta di interventi preventivi che consideri la disponibilità di altri strumenti di cui recentemente si è dimostrata l’efficacia (quanto meno nell’ambito di sperimentazioni cliniche) come la circoncisione maschile, alcuni microbicidi vaginali, la cosiddetta profilassi pre-esposizione (cioè la somministrazione di farmaci antietrovirali a persone a rischio di infezione) così come di interventi la cui efficacia è nota da più tempo come gli interventi di modifica dei comportamenti per le persone con HIV, la promozione dell’uso del condom, gli interventi di riduzione del danno per i tossicodipendenti, la circoncisione maschile. Si potrà forse iniziare a discutere se e quando, come suggeriva una copertina di giugno dell’Economist, si potrà lavorare per la fine di questa epidemia senza attendere la disponibilità di un vaccino.


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