fbpx La galassia più lontana | Scienza in rete

La galassia più lontana

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

Studiare le galassie più distanti - dunque osservare sistemi stellari quando erano in giovane età - è di fondamentale importanza per i cosmologi. Solo riuscendo a determinare le caratteristiche delle galassie nelle profondità dello spazio e del tempo, infatti, può offrire la chiave per comprendere come questi sistemi si siano evoluti fino alle galassie che oggi osserviamo nell'Universo vicino.
Fino a qualche settimana fa, il record di galassia più lontana apparteneva a z8-GND-5296, osservata quando l'Universo aveva un'età di 700 milioni di anni. A scoprirla, nel 2013, il team di Steven Finkelstein (University of Texas - Austin), che aveva scelto di approfondire la ricerca su un campione di una dozzina di oggetti particolarmente promettenti individuati grazie a CANDELS (Cosmic Assembly Near-infrared Deep Extragalactic Legacy Survey), la più grande campagna di ricerca mai affidata al telescopio spaziale Hubble. Dedicata a esplorare l'evoluzione delle galassie nell'Universo primordiale, questa campagna osservativa impiega due strumenti di punta di Hubble: la Wide Field Camera 3 (WFC3), il più avanzato strumento per la luce visibile, e la Advanced Camera for Surveys (ACS), la cui capacità osservativa spazia dall'ultravioletto all'infrarosso. A conferma dell'importanza del progetto, basti segnalare come a questa survey sia stato riservato un tempo osservativo di oltre 900 orbite.
Per quanto accurata, però, l'osservazione di Hubble non era definitiva e Finkelstein aveva dovuto raccogliere ulteriori dati ricorrendo alla strumentazione MOSFIRE (Multi-Object Spectrometer for Infra-Red Exploration) che equipaggia il telescopio hawaiiano Keck I. L'analisi spettrale aveva finalmente confermato l'effettiva distanza della galassia e, a fine ottobre 2013, lo studio era stato pubblicato su Nature.

Dalle pagine di Astrophysical Journal Letters pubblicato all'inizio di questo mese, però, è stato dato l'annuncio della scoperta di una galassia ancora più distante (a questo link il paper completo). Molto simile al precedente l'andamento del percorso di ricerca che ha portato alla nuova scoperta. Anche in questo caso, infatti, all'origine delle indagini vi sono alcune osservazioni effettuate da due telescopi spaziali: Hubble e Spitzer. E, anche in questo caso, i particolari colori mostrati da un campione di galassie hanno indotto Pascal Oesch (Yale Observatory) e collaboratori a ricorrere al telescopio Keck I e al suo spettrometro MOSFIRE. Le osservazioni si sono orientate su una galassia in particolare, chiamata EGS-zs8-1, che si è in seguito rivelata non solo la galassia più distante mai osservata, ma anche uno tra gli oggetti più massicci individuati finora nell'Universo primordiale.

 L'analisi del suo spettro ha indicato che la luce di questa galassia ha  iniziato il suo viaggio oltre 13 miliardi di anni fa. Stiamo dunque  osservando un agglomerato stellare in un'epoca in cui l'Universo aveva  solamente 670 milioni di anni. Quello che sorprende maggiormente è  che, nonostante la giovane età, EGS-zs8-1 ha già accumulato una  massa davvero notevole: oltre il 15% della massa attuale della nostra  Via Lattea. Siamo dunque in presenza di una galassia molto massiccia  già negli stadi iniziali della storia dell'Universo.

 L'accurata misurazione della distanza di questa galassia ha inoltre  permesso di determinare che EGS-zs8-1 è caratterizzata da un
 notevole  tasso di formazione stellare. La galassia sta sfornando stelle  molto  rapidamente, circa 80 volte più intensamente di quanto non  faccia la  Via Lattea ai nostri giorni.
 Per i cosmologi lo studio di questa generazione di stelle è  incredibilmente importante. Si colloca infatti in uno dei momenti di  svolta che caratterizzano l'evoluzione dell'Universo, in quella che viene  correntemente definita epoca della reionizzazione e che segna il  termine della cosiddetta era oscura. Epoca cruciale in cui, grazie a un  massiccio apporto di energia, gli atomi di idrogeno distribuiti tra le  galassie perdono il loro elettrone e passano dallo stato neutro a quello  ionizzato. Tra gli indiziati principali per il ruolo di fornitori dell'energia  necessaria figura proprio la prima generazione di stelle che si sono  accese nell'Universo, la cosiddetta Popolazione III.

 Oltre a chiarire questo passaggio cruciale della storia dell'Universo, si    confida che la scoperta e lo studio di galassie come EGS-zs8-1 possa  aiutare a comprendere l'evoluzione stessa dei sistemi stellari, le cui  caratteristiche fisiche in epoche così remote appaiono molto differenti  dalle attuali. I particolari colori evidenziati grazie alle osservazioni dei  telescopi spaziali si sono mostrati efficaci indicatori di un'imponente  formazione stellare. La loro analisi potrebbe dirci qualcosa in più sull'interazione tra quelle giovani e massicce stelle e il gas primordiale dal quale stavano sbocciando.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Quando il genere cambia la ricerca

Il premio ATENƏ del CNR valorizza la gendered innovation, premiando i tre migliori prodotti scientifici che abbiano inglobato nel proprio disegno la prospettiva di genere. I lavori premiati appartengono ai tre diversi settori ERC, cioè Scienze fisiche e ingegneria, Scienze della vita e Scienze umane e sociali, e sono esempi di come l’integrazione della prospettiva di genere fornisca risultati che rispondono maggiormente ai bisogni della società e del mondo produttivo.

Immagine di Freepik

I manichini utilizzati più comunemente per i crash test riproducono l’anatomia del corpo medio maschile. Per rappresentare i corpi femminili, si utilizza una versione in scala ridotta di questi stessi manichini. Quando si testa la sicurezza delle automobili, quindi, non ci sono manichini che modellino le forme femminili né la loro tolleranza alle lesioni, la biomeccanica, l'allineamento della colonna vertebrale e così via. La conseguenza è che le donne riportano lesioni più gravi degli uomini in incidenti analoghi.