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Il biomonitoraggio dirà quanto siamo inquinati

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Rifiuti in Campania: esiste o meno un'emergenza salute? Il tema è dibattuto da quando - contemporaneamente alla crisi dei rifiuti che ha proiettato Napoli e la Campania alla ribalta del degrado internazionale - uno studio del CNR Istituto fisiologia clinica di Pisa, Istituto superiore di sanità,  OMS Europa ha segnalato un eccesso di mortalità da tumori e di alcune malformazioni alla nascita delle popolazioni più prossime alle discariche tossiche della camorra. Uno studio suggestivo, ora pubblicato da Occupational and Environmental Medicine, ma che non poteva affermare con sicurezza il nesso causale discariche-salute.

Dopo lo studio, che ha sollevato un animato dibattito all'interno della comunità degli epidemiologi italiani (vedi Epidemiologia & Prevenzione), è stato avviato un nuovo programma di ricerca (Sebiorec) - iniziativa promossa dalla Regione Campania e realizzata dall'Istituto superiore di sanità (Iss), con l'aiuto del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) - dedicato a vederci più chiaro in questo probabile nesso, andando a dosare i principali contaminanti ambientali nel sangue e nel latte di un campione della popolazione locale. L'indagine, condotta su un campione di 780 volontari tra i 20 e i 64 anni di sedici comuni nelle province di Napoli e Caserta, sta analizzando la percentuale di determinati inquinanti (come diossine e metalli pesanti) nel sangue e nel latte materno, in comunità che vivono in zone caratterizzate da diversi livelli di rischio ambientale.

Il campo d'indagine è stato ripartito in tre aree, ad alto, medio e basso rischio, interpretate come tali in base a un indice di "pressione ambientale da rifiuti", che deriva anche dalla presenza di rifiuti abbandonati sul territorio. Oltre all'analisi di sangue e latte, ai volontari è stato richiesto di fornire informazioni anche sulle loro abitudini e sul loro stile di vita (storia medica, dieta, abitudini individuali, per esempio): un dato, questo, essenziale per una corretta interpretazione dei risultati.

Per dimensioni del campione, lo studio non ha precedenti, in Europa, ed è tra i più ampi realizzati nel mondo. Quanto alla metodologia, occorre dire che gli studi di biomonitoraggio umano, per individui o per gruppi (pool), non sono una novità nel nostro continente: fortemente sostenuti dal Parlamento europeo, vengono inoltre promossi già da circa vent'anni dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che ha portato avanti diverse indagini sulla presenza nell'organismo umano di diossine e altri inquinanti, attraverso l'analisi di sangue e latte. In Italia non esiste ancora un programma nazionale, benché siano già stati effettuati diverse attività di biomonitoraggio in alcune aree a rischio ambientale, come l'area del petrolchimico di Gela, o il Bresciano e il Mantovano.

Attraverso il biomonitoraggio, si studia l'esposizione umana ad agenti chimici naturali e artificiali presenti nell'ambiente attraverso l'analisi di quanto assorbito in tessuti corporei: non solo sangue e latte, ma anche unghie, capelli e ossa. È un tipo di analisi capace di rilevare anche la presenza di composti chimici in quantità molto ridotte, e viene sempre più spesso utilizzato per la sorveglianza sanitaria negli ambienti di lavoro. Tuttavia, "occorre precisare che il biomonitoraggio non fornisce informazioni dirette di tipo clinico sui rischi per la salute, ma può essere utile a identificare la parte di popolazione che ha subito maggiori esposizioni agli agenti inquinanti, e che potrebbe trovarsi quindi in condizioni di maggiore vulnerabilità e avere bisogno di misure preventive e un controllo continuativo" spiega Fabrizio Bianchi, epidemiologo dell'Istituto di fisiologia clinica del CNR, uno degli iniziatori dello studio.

I risultati di Sebiorec saranno resi noti intorno verso la fine del 2009, e potranno essere utili per la programmazione di interventi di riqualificazione ambientale e di prevenzione sanitaria.

Bibliografia e link


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