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Mi chiamo Bill e vi dico io come salvare il Pianeta

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In Clima, come evitare il disastro (La nave di Teseo, 2021), Bill Gates offre una mappa di come imbarcarci nella lotta alla crisi climatica: la recensione di Luca Carra.
L’articolo, in forma leggermente ridotta, è stato pubblicato da L’Indice, numero di luglio 2021.

Crediti immagine: Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 2.0

Se un miliardario si occupa di clima serpeggia il sospetto che lo stia facendo per chissà quali reconditi motivi. Il fatto poi che il suddetto miliardario sostenga società impegnate nello sviluppo di nuove soluzioni verdi trasforma il sospetto in condanna. Rimane il fatto che Clima, come evitare il disastro (La nave di Teseo, 2021) sia un libro ben argomentato e altrettanto ben scritto. Se qualcuno ha guardato la serie Netflix su Bill Gates, saprà già che il più tecnofilo dei magnati ogni mese si fa preparare una borsa piena di libri per rifugiarsi per una settimana nel suo chalet in montagna a non far altro che leggere e bere coca cola, sua bevanda preferita.

Le letture e le meditazioni che ne sono seguite hanno prodotto un libro convincente, anche se tipicamente americano, quindi ottimista di poter risolvere il più grande rompicapo ambientale con soluzioni prevalentemente tecniche. La politica, nel senso che noi europei diamo a questo termine, non è assente ma è certamente in ombra rispetto alla sconfinata fiducia che Bill Gates nutre nelle capacità trasformative della scienza. Perché questo è un altro aspetto ben sottolineato dal libro: credere di poter azzerare con l’attuale tecnologia al 2050 i circa 50 miliardi di emissioni globali di gas serra che ogni anno spariamo in atmosfera è un compito particolarmente arduo. Servirà investire miliardi nei prossimi trent’anni in ricerca e sviluppo, come si appresta a fare il presidente Biden, per integrare le attuali rinnovabili con idrogeno verde, sistemi efficaci di cattura e stoccaggio di carbonio, forse un nucleare più sicuro e pulito, e altro ancora.

Da qui a metà secolo altre cose importanti potrebbero cambiare. Per esempio il sistema economico potrebbe convertirsi alla circolarità, il che significherebbe scardinare un modello di sviluppo consumistico che produce merci che entrano sul mercato già con la data in cui si guasteranno e andranno sostituite. Questi aspetti, che di fatto mettono radicalmente in discussione il nostro modello di sviluppo incrementale, sono sì adombrati nel testo, ma fino a un certo punto. Gates in questo resta un campione del capitalismo, ma consapevole che per affrontare questa crisi epocale andranno previsti ingenti stimoli pubblici.

Questo per certi versi è il vero limite della prospettiva del libro. Ma dal mio punto di vista è anche un vantaggio. Bill Gates, che non è un francescano ma il fondatore di un immenso impero economico, interpreta la ricchezza come una benedizione, che come tale va però impiegata anche per il bene della società attraverso iniziative filantropiche che l’hanno reso celebre insieme alla (a breve ex) moglie Melinda con l’omonima fondazione. Perché questa prospettiva può essere un vantaggio? Perché l’autore non la nasconde, anzi vi fa continuamente riferimento, per esempio nel ricordare che nell’ambito della fondazione è nata l’iniziativa Breakthrough Energy, rivolta proprio a soluzioni rivolte alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici. Ed è un vantaggio anche per un altro aspetto: il fatto che Bill Gates non pensi di utilizzare l’argomento della lotta al cambiamento climatico come leva per raddrizzare le molte storture che affliggono l’umanità (disuguaglianze, guerre, ecc.) è segno di un pensiero chiaro e distinto, e del realismo di un uomo di mondo.

Questo non ha impedito a Gates di disinvestire da tutte le azioni di aziende “fossili” e reinvestire in società verdi impegnate nello sviluppo di soluzioni sostenibili. Il libro richiama anche la nostra attenzione sul fatto che per liberarsi da un'economia che brucia ogni giorno 15 miliardi di litri di petrolio, con un giro di affari di 5.000 miliardi all’anno, ci vuole un certo tempo. Non vale infatti in campo energetico la nota Legge di Moore, secondo la quale la potenza dei microprocessori raddoppia ogni due anni. L’efficienza delle fonti energetiche, dei motori e delle tecnologie connesse, infatti, sono progredite assai lentamente, portando all’affermazione prima del carbone, quindi del petrolio e infine del gas nell’arco di circa 150 anni. Bisogna insomma fare i conti con un’inerzia delle tecnologie e dell’industria energetica per superare la quale serve per l’autore «una transizione innaturalmente veloce». Come? Realizzando almeno tre cose: un accordo di tutti i paesi, almeno di tutte le economie avanzate; un investimento straordinario e duraturo in ricerca e innovazione; un sistema intelligente di incentivazione che metta le ali a tecnologie non ancora del tutto competitive rispetto a quelle tradizionali.

Il primo punto è banale da capire ma non da ottenere: ci sono paesi che di fatto resistono agli obiettivi fissati a Parigi nel 2015 (fermarsi a 1,5-2 C° di riscaldamento globale) e che andranno convinti con gli strumenti della diplomazia climatica (e con molti soldi e qualche compromesso).

Il secondo punto (molta ricerca e sviluppo) sembra altrettanto scontato, tranne per chi ritiene che l’obiettivo sia raggiungibile già con le tecnologie attualmente disponibili. Il che potrebbe anche essere vero, ma costringendo l’intero pianeta a una serie di vincoli demografici, economici e di metamorfosi comportamentale francamente irrealistica e forse nemmeno auspicabile.

Il terzo punto (incentivazione) si può riassumere in misure fiscali che premino le nuove tecnologie con un importo pari alla differenza di prezzo rispetto a quelle fossili (Gates lo chiama green premium). Un valore al momento, almeno per certe tecnologie, piuttosto alto, visto che un bicchiere di petrolio costa meno di uno di Diet Coke, ma che potrà essere accettato dalla maggioranza dei paesi solo quando, grazie alla maturazione delle nuove tecnologie, sarà abbastanza basso.

Il libro ha un altro pregio: è chiaro quanto può scriverlo un non esperto, ma intelligente e molto informato come Gates. Tanto che io lo farei adottare in tutte le scuole superiori insieme all’enciclica Laudato Si’, opera altrettanto chiara e ispirata ma di segno ovviamente diverso. Fra le altre cose, l'opera ci guida attraverso i kilowatt, i megawatt e i gigawatt (il mondo consuma 5.000 gigawatt, gli Stati Uniti 1.000, un’abitazione americana media un po’ più di 1 kilowatt). Ci chiarisce una volta per tutte con una tabellina la differenza di efficienza, densità e capacità energetica fra fonti buone e cattive (la densità energetica dei combustibili fossili varia da 500 a 10 000 watt per metro quadro; il nucleare da 500 a 1.000; il solare da 5 a 20; l’eolico da 1 a 2).

Ciò non toglie che si debba andare il più speditamente possibile verso una «elettrificazione di tutti i procedimenti possibili. Ciò richiederà molte innovazioni», come spiega in un passaggio del libro. L’autore si diffonde anche sul complesso capitolo delle batterie, accumulatori e vettori energetici come l’idrogeno, essenziali per conservare e dispacciare l’energia prodotta da fonti discontinue come solare ed eolico. Ci spiega le prospettive ancora immature della cattura e stoccaggio del carbonio, necessaria secondo molti scenari per completare l’opera di decarbonizzazione. Affronta pure le soluzioni basate sulla natura (nature based) che dovranno informare le nostre future strategie di adattamento (in particolare la forestazione ma soprattutto l'arresto della deforestazione, su cui insiste particolarmente), così come i cambiamenti che dovranno riguardare agricoltura e allevamenti (e quindi un'alimentazione con meno carne), il mondo del lavoro e della formazione, la mobilità e la pianificazione urbana, e molti altri aspetti non strettamente tecnologici.

Nell’undicesimo capitolo, dedicato a “un piano per azzerare le emissioni”, Gates ricapitola le quattro mosse cruciali:

  1. Quintuplicare la ricerca e lo sviluppo nel campo dell’energia pulita e del clima nel corso del prossimo decennio;
  2. Scommettere di più sui progetti di ricerca e sviluppo ad alto rischio e ad alto ritorno (per non disperdere le energie in mille rivoli improduttivi);
  3. Indirizzare la ricerca e lo sviluppo verso le nostre esigenze prioritarie;
  4. Collaborare con l’industria fin dall’inizio.

Per Gates la “transizione ecologica” è alla fine un'immane rivoluzione industriale e scientifica, che necessita di incentivi mirati a ridurre i rischi d’impresa, da ottenere all’inizio puntando sugli appalti pubblici per le forniture. Ma anche di un'infrastruttura che consenta alle nuove tecnologie di penetrare nel mercato, e di dare un prezzo adeguato al carbonio. Il nuovo mercato verde, insomma, dovrà essere pronto entro e non oltre il 2030.

Nel suo complesso il libro è una mappa per imbarcarci subito nella lotta a quella che si profila come una potenziale sciagura planetaria a fronte della quale la stessa pandemia appare poca cosa. Ma il tutto con un tono sereno e costruttivo, come si capisce dall’invito contenuto nella penultima pagina: «Spero che i piani possano unirci al di là delle divisioni politiche (…) Nessuno ha monopolizzato il mercato con soluzioni efficaci per il cambiamento climatico. Che siate fautori del settore privato, dell’intervento governativo, dell’attivismo o di una qualche combinazione di questi elementi, ci sarà qualche progetto concreto che siete disposti ad appoggiare. Quanto alle idee su cui non siete d’accordo, forse sentite l’esigenza di pronunciarvi apertamente contro di esse. Spero però che dedichiate più tempo ed energie a sostenere ciò a cui siete favorevoli che a opporvi a ciò a cui siete contrari».

 


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