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Cronologia di una estinzione

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Deccan Traps

Panorama dei Deccan Traps nei pressi di Matheran, a est di Mumbai. Crediti: Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 2.5

Tra tutte le estinzioni di massa che hanno costellato il tormentato cammino della vita sulla Terra, l'estinzione avvenuta 66 milioni di anni fa è probabilmente la più nota. Non certo, però, per la sua portata. Infatti, benché in quell’evento sia stato spazzato via il 75% di tutte le specie che popolavano il pianeta, non è stato il colpo più devastante inflitto alla biosfera terrestre. Molto più drammatiche, per esempio, furono le conseguenze dell’estinzione del Permiano, un eccidio consumatosi 251 milioni di anni fa in cui perì il 97% delle specie marine, il 70% dei vertebrati e – unica tra le estinzioni di massa – interessò persino gli insetti. Ciò che rende particolare l’estinzione di 66 milioni di anni fa è, senza dubbio, il fatto che decretò la fine del dominio incontrastato dei grandi sauri che durava da oltre 100 milioni di anni e il conseguente emergere di una nuova classe dominante di animali: i mammiferi.

Estinzione del Cretaceo-Paleocene, due imputati alla sbarra

Oltre che per il fatto di interessarci direttamente, però, l’estinzione di massa che si consumò 66 milioni di anni fa al limite tra il Cretaceo e il Paleogene (evento K-Pg) è l’unica, tra le cinque più devastanti estinzioni di massa, che può essere ricondotta a due differenti cause. In corrispondenza del suo verificarsi, infatti, il nostro pianeta venne interessato da due avvenimenti incredibilmente violenti e devastanti, ciascuno dei quali potrebbe essere all’origine di quell’eccidio. Da un lato abbiamo l’impatto di un asteroide grande almeno una decina di chilometri in quella che oggi è la penisola dello Yucatan. Un botto violentissimo, in grado non solo di lasciare un cratere grande 180 chilometri, ma capace soprattutto di innescare effetti così devastanti sull’intero pianeta da portare all’estinzione i tre quarti delle specie che lo popolavano.

In quello stesso periodo, però, dall’altra parte del globo era in atto un cataclisma completamente differente ma non meno devastante: la catena di mostruose eruzioni vulcaniche di cui è rimasta una traccia indelebile nei Deccan Traps (Trappi del Deccan). Con questo nome si identifica un ampio territorio di origine vulcanica localizzato nella parte occidentale dell'India, mastodontiche colate di basalto che ricoprono un'area di 500 mila chilometri quadrati e che raggiungono lo spessore anche di due chilometri. All'origine di tutto ci fu, intorno a 68 milioni di anni fa, l'attivarsi del Réunion hotspot, un “punto caldo” della superficie terrestre, attualmente collocato sotto l'isola di Réunion, interessato da un'anomala risalita del mantello verso la superficie terrestre e per questo sede di intensa attività vulcanica. Anche in questo caso, l’estensione e l’intensità del fenomeno vulcanico sarebbero in grado di modificare a tal punto le condizioni ambientali dell’intero pianeta da provocare un’estinzione di massa.

Luogo dell'estinzione in India

Collocazione geografica dei Deccan Traps. Nella mappa è evidente l’estensione di queste colate laviche, una delle più estese strutture di natura vulcanica del pianeta, nella regione centro occidentale della penisola Indiana. Crediti: Courtney Sprain (Department of Earth and Planetary Science – University of California, Berkeley)

Qualcosa di analogo sembra sia avvenuto proprio in occasione dell’estinzione del Permiano, coeva con la formazione dei Siberian Traps. Proprio per la sovrapposizione dei due eventi, determinare in modo decisivo quale dei due sia stato quello scatenante è piuttosto complicato.

Non è un caso, dunque, che esistano due scuole di pensiero in merito a ciò che potrebbe aver causato l’estinzione del K-Pg, una più propensa a uno scenario di tipo geologico e l’altra più incline a uno scenario astronomico. Una diatriba mai sopita che si trascina ormai da una quarantina d’anni, da quando (nel giugno 1980) venne pubblicato su Science il fondamentale articolo scritto da Luis Alvarez e collaboratori sulla causa extraterrestre dell’estinzione di fine Cretaceo emersa a seguito della scoperta di una anomala concentrazione di iridio (elemento rarissimo nella crosta terrestre, ma abbondante in materiale meteoritico) in un sottile strato argilloso che marca il limite K-Pg nella sezione stratigrafica di Gubbio.

È evidente che riuscire a ricostruire nel modo più accurato possibile l’esatta cronologia degli avvenimenti di 66 milioni di anni fa potrebbe aiutare a risolvere il dilemma. La cosa, però, è tutt’altro che facile, come testimoniano due recenti studi pubblicati su Science.

Conclusioni contrastanti

Il primo studio, frutto del lavoro di Blair Schoene (Princeton University) e collaboratori, prova a stabilire la cronologia degli eventi utilizzando come marcatore il decadimento Uranio-Piombo ricavato dall’analisi degli zirconi presenti in alcune rocce vulcaniche dei Deccan Traps. Secondo i ricercatori, quell’imponente flusso magmatico sarebbe stato riversato in quattro differenti impulsi, il più rapido dei quali durò 100 mila anni o forse meno. I dati ottenuti, inoltre, indicherebbero che l’eruzione più estesa ebbe inizio decine di migliaia d’anni prima dell’estinzione e dell’arrivo dell’asteroide dello Yucatan. La conclusione alla quale giunge il team di Schoene, pertanto, è che entrambi gli eventi catastrofici possano aver contribuito al deterioramento delle condizioni ambientali che sfociarono nell’estinzione K-Pg.

Piuttosto differenti, invece, le conclusioni alle quali giunge il secondo studio, presentato da Courtney Sprain (University of California – Berkeley) e collaboratori. Anche questo team prova a ricostruire l’accurata tempistica delle eruzioni del Deccan e lo fa utilizzando quale marcatore il decadimento Argon-40/Argon-39. La prima conclusione suggerita dai ricercatori è che, dai dati in loro possesso, non trova conferma l’esistenza delle differenti fasi effusive finora ipotizzate per i Deccan Traps. Inoltre, il 90% del volume del materiale sarebbe stato eruttato in meno di un milione di anni e i tre quarti di questo materiale sarebbero stati depositati 600 mila anni dopo il limite K-Pg, indizio che l’arrivo dell’asteroide possa aver dato un nuovo e decisivo impulso al processo eruttivo.

Per il team di Sprain, i dati stratigrafici del tardo Cretaceo che testimoniano il cambiamento climatico coinciderebbero temporalmente con la fase meno intensa della genesi dei Deccan Traps, suggerendo pertanto che o il rilascio dei gas responsabili dei cambiamenti climatici non è legato al volume di magma eruttato, oppure che quel processo eruttivo non fu la causa dei cambiamenti climatici del Cretaceo terminale.

Davvero complicato, dinanzi a conclusioni così contrastanti, riuscire farsi un quadro chiaro della catena di eventi che hanno influenzato il drammatico deterioramento delle condizioni ambientali del nostro pianeta 66 milioni di anni fa. Anziché permetterci di decifrare i meccanismi d’innesco dell’estinzione, insomma, sembra proprio che le conclusioni dei due team facciano di tutto per il rendere il quadro ancora più enigmatico.

 

Per approfondire alcuni aspetti di questa complessa tematica e provare a fare chiarezza, abbiamo chiesto aiuto a Sandro Montanari, laureato in geologia a Urbino e PhD in geologia a Berkeley. Attualmente direttore dell’Osservatorio geologico di Coldigioco a Frontale di Apiro (Macerata), il centro privato per la ricerca e l’educazione alla geologia da lui fondato nel 1992 con David Bice e Walter Alvarez, Montanari è un profondo conoscitore ed esperto mondiale del limite K-Pg.

Il primo interrogativo non può che riguardare le strategie di indagine dei due team che hanno appena pubblicato i loro lavori su Science. In cosa si differenziano le ricerche dei team di Berkeley e di Princeton?

Anzitutto vorrei dire qualcosa sul titolo della review di Seth Burgess, "Deciphering mass extinction triggers - Improved radioisotope dates help to illuminate the causes of mass extinctions", che sintetizza su Science le conclusioni dei due studi. Un titolo che per me e per la stragrande maggioranza della comunità scientifica è fuorviante, ma per Science abbastanza accattivante per rinvigorire la diatriba ancora in corso e partita esattamente 40 anni fa da Gubbio circa le cause dell’estinzione di massa del Cretaceo terminale. Uno scoop giornalistico, insomma. Credo che il titolo corretto avrebbe dovuto essere: “Deciphering mass extinction triggers - Improved radioisotope dates say nothing about the causes of mass extinctions”.

Entrando nel merito della domanda, il lavoro di Courtney Sprain e collaboratori (chiamiamolo il gruppo di Berkeley, più precisamente il Berkeley Geochronology Center, dove il metodo di datazione radioisotopica K-Ar è stato inventato e dove io ho lavorato per un decennio negli anni ’80) esegue datazioni con la tecnica 40Ar-39Ar. Praticamente è il vecchio metodo K-Ar dove il 39K viene trasformato in 39Ar tramite attivazione neutronica. Blair Shoene e collaboratori (chiamiamolo il gruppo di Princeton) usano invece il metodo di datazione U-Pb.

Per datare un deposito vulcanico, sia esso una colata lavica o una cenere vulcanica, i due metodi richiedono differenti geocronometri, ovvero quei minerali che si formano nella roccia ancora fusa e che alla fine si raffredda rapidamente trasformandosi in roccia (per esempio basalto oppure tufo vulcanico). Per il metodo Ar-Ar si debbono ovviamente usare minerali contenenti abbondante potassio radiogenico (39K) come la biotite o, ancor meglio, allumo-silicati potassici come il sanidino o l’ortoclasio che sono presenti in rocce ignee acide. Grazie ai notevoli progressi e innovazioni tecnologiche degli ultimi anni, però, la tecnica Ar-Ar può essere applicata anche a minerali che contengono solo tracce di 39K, come il plagioclasio contenuto in rocce basiche tipo basalto, e ottenere datazioni molto precise.

Il metodo U-Pb, invece, richiede come geocronometro un minerale contenente uranio e, nella gamma dei minerali di rocce ignee, il minerale ideale e più usato è lo zircone, un minerale estremamente resistente all’alterazione, ma presente in rocce ignee acide e quindi rarissimo o assente nel basalto.

Come mai i due team raggiungono conclusioni così contrastanti? È una conseguenza diretta delle differenti incertezze che caratterizzano le due indagini? Quale delle due analisi, secondo lei, è preferibile?

Come è usuale per una misura, entrambi i metodi danno come risultato un’età espressa in milioni di anni (Ma) seguita da un valore preceduto da il segno +/- sempre in milioni di anni che rappresenta l’incertezza analitica della datazione, ovvero la precisione, che può essere calcolata statisticamente a livelli di confidenza del 68% (1-sigma) o del 95% (2-sigma). Per esempio, l’età radioisotopica Ar-Ar del limite K-Pg a 2-sigma è di 66,052 +/- 0,008 Ma (precisione di ottomila anni). La precisione, che dipende dalla sofisticazione e correttezza analitica, non deve essere confusa con l’accuratezza che è la differenza tra l’età assoluta reale dell’evento - che solo il Padreterno conosce - e l’età che si ottiene con l’analisi radioisotopica.

Entrambe le datazioni Ar-Ar e U-Pb sono oggi molto precise, ma entrambe hanno un’incertezza nella loro accuratezza dovuta a fattori geologici e anche a fattori statistici di calcolo. L’argon, per esempio, è un gas volatile e a causa di turbamenti fisici post-formazione potrebbe esalare dal reticolo cristallino del minerale lasciando in esso un rapporto K/Ar diverso da quello originario. Questa alterazione finirebbe dunque col suggerire un’età alterata, fasulla, dunque non accurata. Comunque, il metodo Ar-Ar, oggi estremamente sofisticato con l’utilizzo di tecniche laser e spettrometri di massa estremamente sensibili, prevede test e procedure analitiche che aiutano a verificare la qualità e l’affidabilità del geocronometro.

Nel metodo U-Pb, nel tenace zircone non c’è il problema dell’alterazione del rapporto geochimico originario dell’uranio e del piombo. Il problema semmai è che lo zircone può formarsi nel magma decine se non centinaia di migliaia di anni prima dell’eruzione e quindi la sua età U-Pb non corrisponderebbe all’età dell’eruzione. Questo spiegherebbe il perché l’età U-Pb del contatto stratigrafico nella serie del Deccan tra le formazioni basaltiche del Bushe e del Poladpur di 66.14 Ma è 140 mila anni più vecchia dell’età Ar-Ar di 66.03 Ma dello stesso livello stratigrafico.

Secondo me, dunque, i risultati dell’analisi del laboratorio di Berkeley sono più affidabili di quelli del laboratorio di Princeton. Di conseguenza, ritengo che le interpretazioni e le conclusioni del lavoro di Schoene e collaboratori non siano valide; anzi, penso che siano proprio sbagliate.

Accettato il fatto che all’estinzione del limite K-Pg abbiano contribuito sia il vulcanesimo che l’impatto asteroidale, come conciliare i differenti scenari ai quali essi conducono? L’immissione in atmosfera di CO2 e metano imputabile al vulcanesimo dovrebbe sfociare in un soffocante effetto serra, mentre le polveri sollevate dall’impatto formerebbero una cortina impenetrabile per i raggi solari dando il via a un lungo e gelido inverno. Qual è il quadro più corretto?

Non è affatto accettato all'unanimità che all’estinzione del limite K-Pg abbiano contribuito sia il vulcanesimo che l’impatto asteroidale. Analisi di sezioni stratigrafiche continue e complete attraverso il limite K-Pg, inclusa quella di Gubbio, rivelano impronte geochimiche attribuibili al vulcanesimo del Deccan che precedono l’impatto di circa 400 mila anni. Praticamente, a Gubbio l’impronta del vulcanesimo è ubicata circa quattro metri sotto il limite K-Pg, cioè sotto il piccolo strato argilloso con le evidenze chimiche e mineralogiche dell’impatto extraterrestre (iridio, spinelli, shocked quartz). A parte cambiamenti climatici segnalati da variazioni degli isotopi dell’ossigeno e del carbonio, che comunque possono essere attribuiti a normali cicli climatici di Milankovich, in questi 400 mila anni terminali del Cretaceo, a Gubbio come in qualsiasi altra sezione nel mondo, incluse quelle terrestri con dinosauri e piante, non ci sono segni o avvisaglie di crisi biologiche. Poi arriva il livello impattoclastico e lì avviene l’estinzione di massa, non un centimetro prima né un centimetro dopo.

Stando alla cronostratigrafia del Deccan proposta dal gruppo di Berkeley, il grosso dell’attività eruttiva è avvenuta dopo l’impatto/estinzione di massa, e quindi il vulcanismo del Deccan non può essere considerato una causa dell’estinzione di massa. Semmai avrebbe potuto aggravare per qualche centinaio di migliaia di anni le condizioni climatiche globali già compromesse dall’impatto che ha preceduto quelle effusioni vulcaniche, rallentando il recupero dell’ecosistema globale. Per quanto riguarda gli scenari, come suggerirebbero i modelli computerizzati con tutte le possibili incertezze e le variabili dei calcoli e delle stime, è vero che l’immissione in atmosfera di CO2 e metano dovrebbe sfociare in un soffocante effetto serra. Segnali isotopici di surriscaldamento si riscontrano, a Gubbio come in altre sezioni stratigrafiche studiate in dettaglio, a partire da circa 50-60 mila anni dopo l’impatto. Questo evento ipertermale è conosciuto in letteratura con la sigla DAN-C2.

Potrebbe dunque essere un effetto delle eruzioni alquanto voluminose del Deccan post K-Pg?

Potrebbe, ma al momento non ci sono prove geochimiche che supportino questa ipotesi. Si potrebbe anche pensare, infatti, che il DAN-C2 sia stato provocato da un effetto serra dovuto alla persistenza in atmosfera di CO2 e di anidride solforosa (SO2) derivati dalla vaporizzazione di decine di migliaia di chilometri cubi di piattaforma carbonatica dello Yucatan costituita da calcari puri e da anidriti ricchi di zolfo. L’enorme impatto avrebbe anche potuto liberare grandi quantità di metano da i sedimenti marini circostanti il cratere di Chicxulub e anche a grandi distanze da esso, sia nell’Atlantico che nel Pacifico.

Per quanto riguarda le polveri sollevate dall’impatto, pare che il materiale non sia entrato in orbita, ma sia ricaduto sulla Terra in breve tempo, tipo fallout da esplosione nucleare. L’inverno da impatto causato dalla opacizzazione dell’atmosfera da parte di questo materiale particolato, pertanto, è stato in realtà piuttosto breve, dell’ordine di mesi o di qualche anno al massimo. Questo significa che non è risolvibile nell’archivio stratigrafico, ma solo ipotizzabile e/o modellabile al computer.

Detto questo, lo scenario condiviso dalla stragrande maggioranza della comunità scientifica mondiale è che alla fine del Cretaceo ci sia stato l’impatto di un oggetto extraterrestre sulla punta nordoccidentale dello Yucatan che ha lasciato per terra un buco grande come il Belgio - il cratere di Chicxulub - e rilasciato all’istante un’energia equivalente a cento milioni di tonnellate di TNT. Ciò ha causato un istantaneo e drastico cambiamento climatico che ha generato una catastrofe ecologico-ambientale su scala globale con conseguente estinzione di massa del biota terrestre.

Centinaia di migliaia di anni prima dell’impatto era iniziata nel Deccan un’importante fase di attività vulcanica basaltica che ha perdurato fin oltre l'istante dell’impatto extraterrestre, ma senza causare nessuna crisi biologica né tantomeno una estinzione di massa. È tuttavia possibile che l’attività vulcanica del Deccan abbia contribuito ad aggravare le condizioni climatiche che seguirono all’impatto, ma al momento non esistono evidenze stratigrafiche a sostegno di questa ipotesi.

Entrambi i team suggeriscono che l’innesco dei fenomeni eruttivi che avrebbero originato i Deccan Traps non sia collegato all’asteroide dello Yucatan. Da cosa, dunque, si ritiene possa essere stato scatenato un evento così esteso e violento? Quale somiglianza possiamo riscontrare con l’analogo fenomeno che 250 milioni di anni fa, al limite P-Tr, generò i Siberian Traps?

Questo non è del tutto esatto. Il team di Berkeley, infatti, suggerisce che il picco dell’attività effusiva calcolabile come volume della lava prodotta rapportato alla durata dell’effusione sia stato provocato proprio da un’onda sismica generata dall’impatto, un’ipotesi direi interessante. Sulle cause iniziali delle eruzioni del Deccan è davvero impossibile rispondere. Alla sua origine vi furono le complesse situazioni termodinamiche del mantello, capaci di innescare in modo imprevedibile quelle colate. Oggi qui domani là. La somiglianza tra i due limiti cronostratigrafici K-Pg e P-Tr è che entrambi sono marcati da estinzioni di massa più o meno coincidenti con l’attività effusiva di LIPS (Large Igneous Province) basaltici, i Trappi del Deccan il primo e i Trappi Siberiani il secondo.

Mentre nel caso del K-Pg ci sono evidenze stratigrafiche che l’estinzione di massa sia stata provocata da un enorme impatto extraterrestre (il più grande di tutto il Fanerozoico), nel caso del P-Tr non c’è nessuna evidenza di un impatto. Quindi si tende a ipotizzare che l’estinzione di massa del limite P-Tr sia stata causata proprio dall’attività vulcanica dei Trappi Siberiani.

 


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