Quando si parla di laboratori e scienziati, la fervida immaginazione dei bambini - ma anche di qualche adulto- non può che sfiorare l’immagine dello “scienziato pazzo”, davanti ai nostri occhi prende vita l’immagine di un giovane medico che rileggendo gli appunti del nonno il barone Viktor Von Frankestein, considerato da lui stesso un folle per le sue teorie, si rende conto che invece è possibile creare una creatura assemblando pezzi vari di altri esseri. Naturalmente non è così, tranquilli, si sa benissimo che lo scienziato è quella persona che grazie alle sue competenze e al suo meticoloso lavoro in laboratorio si prodiga nel trovare nuove soluzioni per migliorare la vita dell’uomo. Un’altra volta la scienza ha voluto superare le imponenti colonne d’Ercole. La notizia pubblicata da Science, parla della creazione in un laboratorio olandese di una variante del famoso virus H5N1, che con cinque modifiche genetiche è diventato un virus altamente contagioso e, “probabilmente il virus più letale che si possa immaginare”, come ha detto Ron Fouchier, principale autore della ricerca. Sembra paradossale che al giorno d’oggi parole come malattia, pandemia, morte ancora spaventino ed è altrettanto paradossale che a differenza del passato, quando si parla di malattie non ci si difende più solo dal morbo in sé, ma soprattutto dall’attacco mediatico che quasi sempre peggiora la reale situazione facendoci vivere nel panico senza una reale motivazione. L’impressione è che ogni nuovo virus influenzale si trasformi nel responsabile delle più feroci pandemie mai annotate nella storia. Il fenomeno interessante è dato dal fascino che questa minaccia sembra esercitare sulla maggior parte della popolazione, una strana adrenalina che si infiltra nelle nostre menti e ci fa essere timorosi e attenti a tutto . Ci porta a pensare che bisogna trovare un rifugio per difendersi e difendere i propri cari, trovare una via di fuga per sopravvivere e dopo un attimo ci troviamo catapultati in un film, infatti spesso il confine tra finzione e realtà è molto labile. E non si capisce bene se siano stati i registi e i vari autori a fare leva sulla paura della gente di epidemie e pandemie, fondendo fantasia e realtà facendo di tutto una pappa verosimile, o la richiesta sia arrivata direttamente dal pubblico per saziare la profonda fame di catastrofe. Ed ecco che come una cascata si leggono decine e decine di titoli di film che raccontano di catastrofi, elencando varie versioni di fine del mondo, invasioni aliene, o mostri creati in laboratori che anelano vendette contro il genere umano in generale, creature gigantesche e mostri, o pandemie create dall’uomo e poi andate fuori controllo. In quanti modi il cinema ha pensato di far finire il mondo? Certo sarebbe accettabile l’idea della vendetta di una natura maligna che stanca dei continui soprusi si ribella e innesca meccanismi di vendetta come si vede nel film di “The day after Tomorrow” di Roland Emmerich del 2004, dove l’intero pianeta viene attraversato da eventi climatici catastrofici con un happy ending che porta i governi a ripensare le proprie politiche ambientaliste. Un po’ meno probabile ma sempre possibile, fino a prova contraria, sarebbe pensare ad un’ invasione aliena alla “Indipendence day” sempre di Emmerich, dove astronavi aliene cominciano a posizionarsi sopra le capitali del mondo, e di lì a poco sferzano un attacco devastatore contro la terra. Ma sicuramente non è pensabile che il mondo finisca per mano dell’uomo stesso, come può l’uomo fare qualcosa per annientare l’uomo ? Quello che può sembrare irrazionale e illogico diventa quotidianità per autori e registi. Nel 1995 W. Petersen gira “Virus Letale”, che narra dei tentativi militari di nascondere le proprie responsabilità in ordine all’esplosione epidemica del virus Motaba, pur di continuare gli esperimenti di guerra batteriologica. Il vaccino non viene distribuito, anzi i testimoni vengono eliminati. Il film approfondisce i temi di conflitti di interesse fra gli obiettivi della scienza, della medicina e dei militari. Dove lo scafandro indossato dai tecnici nei laboratori, assume il duplice significato di protezione dal bacillo, ma anche di isolamento della scienza dal mondo e dai bisogni della società e dall’opinione pubblica, visto come il reale “virus” che impedisce la valutazione dell’impatto antropologico delle innovazioni scientifiche ed elimina sul nascere qualsiasi dibattito democratico. Parlando di fiction e virus non si può non citare “L’esercito delle 12 scimmie”, film del 1995 con la regia di Terry Gilliam tra il genere fantascienza e quello thriller. La storia segue le vicende di James, interpretato da Bruce Willis, che dal 2035 viene inviato indietro nel tempo fino al 1996, anno in cui si sarebbe diffuso il virus che avrebbe portato al quasi totale annientamento della popolazione, con la missione di trovare informazioni per trovare un vaccino nel futuro. Tra frenetici inseguimenti e svariati salti nel tempo, Cole scoprirà che tutto riconduce a un gruppo di ambientalisti “l’esercito delle 12 scimmie”, capitanati da Jeffrey, figlio un po’ matto di un famoso virologo . Ma si scoprirà che il piano di Jeffrey è solo quello di liberare gli animali dello zoo, mentre il vero colpevole del contagio mondiale è un biologo alle dipendenze del padre di Jeffrey. Interessante analisi di un mondo post- apocalittico, che continua a sperare di rimediare agli errori del passato. Altro colosso della cinematografico del genere è “Io sono leggenda” del 2007, diretto da Francis Lawrence e direttamente tratto dall’omonimo romanzo di Richard Matheson. Racconta di Robert Neville virologo militare e unico sopravvissuto a un’epidemia generata dal virus del morbillo geneticamente modificato che inizialmente era stato concepito come cura al cancro. Il virus ha ucciso la maggior parte degli esseri umani e animali, mentre in altri ha provocato una degenerazione, trasformandoli in una sorta di zombie. Lo scienziato riuscirà dopo vari tentativi sugli infetti a trovare la cura, ma ormai in trappola dovrà sacrificarsi, lasciando in mano a Anna, unica donna non infetta che ha incontrato, l’antidoto al virus, da consegnare a una colonia di sopravvissuti nel Vermont.
Il cinema ha sempre spettacolarizzato le possibili pandemie nella speranza di creare nuovi impavidi eroi e innescare nel nostro intimo i buoni sentimenti tipici dell’uomo nel post- pericolo. Ma è plausibile la minaccia di una mescolanza tra fiction e realtà e il pericolo che per l’ennesima volta qualcuno nel giocare a fare Dio si faccia prendere un po’ la mano è dietro l’angolo . E anche se a volte i film sembrano raccontarci solo storie di fantasia se qualcuno lo ha immaginato, allora non dovrebbe essere cosi assurdo, d’altronde come diceva Publio Terenzio “Homo Sum, humani nihil a me alienum puto”.
Eugenia Borgia