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Lo spirito degli antenati contro gli astronomi

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Per fare astronomia di punta servono scienziati di gran classe, strumenti competitivi e un cielo perfetto. Alla perfezione di un sito astronomico concorrono molti fattori, prima di tutto la “buiezza”, quindi parliamo di località lontane dalle luci parassite e da qualsiasi forma di inquinamento che pregiudichi la trasparenza dell’atmosfera, poi ci vogliono le giuste condizioni climatico-metereologiche, capaci di garantire cieli senza nubi. Questo spiega perché gli astronomi scelgono di mettere i loro strumenti in posti remoti (e spesso difficili da raggiungere) meglio se sulla cima delle montagne che svettano sopra le nubi perché sono fisicamente sopra quello che i meteorologi chiamano lo strato di inversione termica. 

Sul Mauna Kea le condizioni migliori

Al mondo non sono moltissimi i posti capaci di soddisfare questi requisiti.  Il migliori si contano sulla punta delle dita di una mano: qualche località delle Ande Cilene (dove ci sono diversi importanti insediamenti astronomici sia europei, sia USA), qualche picco in Arizona, la sommità di un vulcano spento nelle isole Canarie e la vetta del Mauna Kea, alle Hawaii. Questo non significa che in altre località non si possano costruire telescopi, semplicemente non potranno godere delle migliori condizioni.

Osservazioni anche nell’infrarosso

La scelta di andare in un sito piuttosto che in un altro dipende dalla nazionalità dei gruppi di ricerca, oltre che dalla parte di cielo che si vuole guardare. Per studiare l’emisfero sud, il Cile non ha rivali ed accoglie strumenti di ogni nazionalità. Per l’emisfero Nord, gli europei vanno alle Canarie mentre gli americani, ma anche i giapponesi e sporadici europei, vanno alle Hawaii (che offrono un sito osservativo a poco più di 4.000 m di altezza perfetto anche per osservazioni nell’infrarosso, una lunghezza d’onda che viene assorbita dal vapor d’acqua in sospensione nell’atmosfera).

Tramonto a Roque de Los Muchachos a La Palma. In primo piano il telescopio nazionale Galileo dell’INAF poco sotto il mare di nubi create dall’umidità dell’Atlantico che avvolge l’isola

Negli anni, Canarie ed Hawaii hanno visto crescere il loro parco astronomico, che si è adattato agli spazi disponibili.  A Roche de los Muchachos, tutto il bordo della grande caldera vulcanica è costellato da una dozzina di telescopi: uno spagnolo con lo specchio primario da 10 m, uno inglese da 4m, uno italiano da 3,6m, e poi altri tre inglesi, due olandesi, uno belga, uno “nordico” (che è una collaborazione tra Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda) e uno svedese dedicato allo studio del Sole. Inoltre, la valle della caldera ospita i telescopi MAGIC dedicati all’astronomia gamma di alta energia e diventerà sede del futuro Cherenkov Telescope Array.   

Anche il paesaggio marziano della cima del Mauna Kea, dove l’ossigeno nell’aria è la metà di quello a livello del mare, ospita una dozzina di telescopi con diametro fino a 10 m.

Super telescopi come case di 20 piani

Naturale quindi che si sia pensato al Mauna Kea per costruire il Thirty Meter Telescope (TMT) la risposta USA ai 39 m dello European Extremely Large Telescope  che le nazioni europee, consorziate nell’ESO – European Southern Observatory, hanno già iniziato a costruire in Cile.

Oltre ad essere grandi come un campo da tennis, formati di centinaia di specchi esagonali combinati opportunamente e controllai da computer perché siano sempre perfettamente allineati, questi super-telescopi devono essere alloggiati in una costruzione che li protegga e permetta loro di muoversi con millimetrica precisione, oltre ad ospitare gli strumenti ed il rivoluzionario sistema di ottica adattiva che permette di compensare per lo sfarfallio dell’atmosfera terrestre. Parliamo di strutture imponenti, equivalenti a case di oltre 20 piani, che hanno bisogno di ampi spiazzi pianeggianti. In Cile, l’ESO ha dovuto ricavare la superficie piana “tagliando” a suon di dinamite la cima del Cerro Armazones, nel deserto di Atacama, alle Hawaii, invece, avevano optato per una soluzione meno eclatante, accontentandosi di mettere il TMT in una valle piuttosto che sul bordo del cratere.

…Ma gli hawaiiani non ci stanno

Ottenuto, con qualche fatica, il permesso di costruire la nuova struttura, il 7 ottobre del 2014 avrebbe dovuto avere luogo la posa della prima pietra, ma la cerimonia è stata interrotta dalle proteste dei discendenti degli indigeni hawaiiani che reclamavano il diritto di preservare la sacralità del luogo dove hanno dimora gli dei del loro pantheon e dove si trovano le tombe dei loro antenati. Da allora, sul Mauna Kea è in corso una “tempesta perfetta” dove lo spirito degli antenati, evocato dai nativi, reclama il diritto di decidere sull’occupazione del suolo a scapito degli astronomi.

"No more telescopes"

No more telescopes è lo slogan della protesta e, benché nessuno si dichiari contrario all’astronomia, il TMT è diventato il nemico da combattere per riconquistare la sovranità perduta oltre un secolo fa, al momento dell’annessione del regno delle Hawaii agli Stati Uniti. La protesta cavalca antichissimi rancori, senza dubbio legati alla politica tipicamente USA di cancellare l’identità culturale della popolazione delle isole, per esempio proibendo l’insegnamento della lingua locale nelle scuole. Il divieto, entrato in vigore nel 1898, al momento dell’annessione, è caduto nel 1978 due anni dopo che le Hawaii sono diventate il cinquantesimo stato dell’Unione e, purtroppo per loro, uno stato ad alto tasso di povertà, specialmente tra i discendenti degli indigeni. Per questo, il fattore economico è importante e i protestanti sostengono che i telescopi non hanno portato i posti di lavoro sperati e non hanno contribuito a migliorare le condizioni di vita dei nativi. Il tutto è peggiorato dal fatto che sembra che gli astronomi non abbiano prestato abbastanza attenzione a preservare la montagna come luogo sacro dove aleggia lo spirito dei defunti.

Partecipanti alla protesta muniti della conchiglia usata nelle cerimonie tradizionali hawaiane (il suono non è la fine del mondo ma è certamente evocativo. QUI il video). Da ammirare il ragazzo sulla sinistra in costume hawaiano più adatto alle spiagge che ai 4000 m della cima del Mauna Kea.

 Risultato, nel dicembre 2014 la Corte suprema delle Hawaii ha revocato il permesso di costruire il telescopio e, tra giudizi e ricorsi, la situazione non si è ancora chiarita. Adesso è in corso un altro giro di testimonianze dove hanno chiesto di parlare anche i nativi hawaiiani favorevoli alla costruzione del telescopio.  Speriamo non finisca in rissa.

Simbolo del rinascimento hawaiiano

Nella visione dei contrari, la lotta al TMT è diventata un simbolo del rinascimento hawaiiano, con il capo carismatico che si presenta nei costumi tradizionali e non vuole sentire ragione sulle iniziative a sostegno delle comunità locali e sui posti di lavoro che la costruzione farebbe nascere in un’economia alquanto depressa. Gli antenati non devono essere ulteriormente disturbati. Punto e basta. Ma i progetti scientifici hanno finanziamenti scaglionati su tempi ben definiti e i ritardi costano cari e salati. Per questo, davanti allo stallo, si sono cercate soluzioni alternative.

Come abbiamo visto le location di prima qualità non sono moltissime. Inutile costruire un altro mega telescopio in Cile dove ci sarà già quello ESO, meglio ripiegare alle Canarie, territorio spagnolo, che accoglierebbe  con gioia i gringos che sicuramente porterebbero non pochi posti di lavoro e interessanti contratti per le ditte locali. In più, come succede per tutti i telescopi alle Canarie, una piccola parte del tempo di osservazione dovrebbe essere disponibile anche agli astronomi spagnoli ed europei. Si tratta di un simbolico pagamento dell’affitto del terreno, che si trasformerebbe in un bonus per l’astronomia europea.

Facciamo il tifo per il TMT alle Canarie anche se è difficile credere che gli americani si lascino scappare un simile gioiello tecnologico (con tutto il suo indotto).  Tuttavia, con quello che abbiamo visto succedere, chi può prevedere come andrà a finire?

Pubblicato su chefuturo.it il 28 novembre 2016.


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