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6 novembre 2020
a cura di Chiara Sabelli
Buon venerdì,
questa settimana parliamo di equazioni differenziali, di archeologia glaciale, di accesso delle minoranze alla ricerca scientifica, degli errori commessi dalla politica nonostante l'incredibile risposta di medici e scienziati di fronte alla pandemia, degli eventi di superdiffusione del SARS-CoV-2 e, infine, del futuro della scienza americana in attesa dell'esito del voto.
L'argomento che approfondiamo oggi è il ruolo che le scienze sociali, sempre più quantitative, hanno durante le elezioni americane: dallo studio delle dinamiche attraverso cui le teorie cospirazioniste si diffondono sui social media, al fallimento dei sondaggi di opinione politica nel prevedere i risultati elettorali. Buona lettura e al prossimo venerdì (per segnalare questa newsletter agli amici ecco il link per l'iscrizione)

SEI PEZZI BELLI
1 Risolvere uno dei problemi matematici più difficili con il deep learning
Le equazioni differenziali alle derivate parziali (PDE) descrivono fenomeni che evolvono nel tempo e nello spazio. Sono capaci di rappresentare la dinamica dei fluidi, le orbite dei pianeti o il movimento delle placche tettoniche. Ma risolverle è uno dei problemi matematici più difficili in assoluto. Un gruppo di ricercatori del California Institute of Technology ha sviluppato un algoritmo di deep learning capace di trovare le soluzioni di intere famiglie di PDE senza essere ri-allenato ed è 1000 volte più veloce dei metodi tradizionali [MIT Technology Review]

2 Lo scioglimento dei ghiacciai rivela reperti archeologici che sarebbero altrimenti rimasti segreti ma allo stesso tempo rischia di farli perdere per sempre
Con lo scioglimento dei ghiacci causato dal riscaldamento globale stanno venendo alla luce artefatti antichi perfettamente conservati, creando una nuova scienza, quella della archeologia glaciale. Ma i ghiacci si sciolgono a un ritmo accelerato e per gli archeologi è iniziata una corsa contro il tempo per salvare questi tesori così fragili [The Guardian]

3 L'accesso alla ricerca scientifica è ancora largamente precluso alle minoranze, come neri e donne, ma non sappiamo quanto perché mancano i dati
Le più grandi case editrici scientifiche hanno dichiarato di aver intrapreso delle politiche di integrazione verso i gruppi minoritari che pubblicano meno sulle loro riviste, ma solo due hanno raccolto dei dati sull'argomento. Si tratta dell'American Association for the Advancement of Science, che pubblica Science, e la Royal Society. In entrambi i casi gli autori si sono identificati come bianchi nel 70-80% dei casi. Le cose non sono molto diverse se si guarda ai dipendenti di queste case editrici o all'identità di genere invece che alla composizione etnica. Per cambiare le cose però, occorre prima di tutto raccogliere più dati a riguardo [The New York Times]

4 Nel libro 'The COVID-19 catastrophe' Richard Horton, direttore della rivista The Lancet, racconta il successo della scienza e il fallimento della politica
Già alla fine di gennaio la comunità medica e scientifica cinese documentava, in giornali scientifici in inglese e di alto livello, le caratteristiche cliniche della malattia causata dal nuovo coronavirus, confermava la possibilità di trasmissione da persona a persona e quantificava il carico a cui sarebbero state sottoposte le terapie intensive. Una risposta incredibile e la prova di una rinascita seguita alla terribile gestione dell'epidemia di SARS nel 2002-2003. Nonostante questo, i governi occidentali, soprattutto gli Stati Uniti, non sono stati in grado di essere conseguenti, in parte per sottovalutazione del problema e in parte per strutturale incapacità dei loro sistemi sanitari di affrontare una crisi del genere [LSE Impact Blog]

5 Il ruolo degli eventi di superdiffusione nell'epidemia di SARS-CoV-2
Alla fine di febbraio la società farmaceutica Biogen ha tenuto la sua consueta conferenza annuale a Boston. Uno dei partecipanti era stato infettato dal nuovo coronavirus e probabilmente lo ha trasmesso a 97 persone, tra gli altri partecipanti e i loro conviventi. Uno studio recente ha stimato che la catena di contagio di quell'evento potrebbe aver coinvolto decine di migliaia di persone solamente nella zona di Boston. L'indice Rt, di cui sentiamo tanto parlare, indica quante persone vengono contagiate da una persona infetta in media. Ma l'esperienza insegna che per la COVID-19, così come per molte altre malattie infettive, la maggior parte delle persone non trasmettono il virus a nessuno e una piccola percentuale è responsabile dalla maggioranza delle infezioni. Questo ha due conseguenze in termini pratici: è importante limitare le occasioni che favoriscono fenomeni di superdiffusione (spazi chiusi, affollati e senza distanziamento) e tracciare i contatti all'indietro piuttosto che in avanti (ovvero cercare di capire dove una persona si è infettata piuttosto che capire chi ha infettato) [Science]

6 La scienza americana attende il risultato del voto presidenziale col fiato sospeso
   ×  I quattro anni passati hanno causato talmente tanti danni alla scienza e alle politiche informate dalla scienza, che ci vorranno decenni per recuperare [Science]
   ×  La gestione della pandemia è stato il culmine di una serie di politiche che hanno sistematicamente ignorato le prove scientifiche [Nature]
   ×  Ma alcuni scienziati, hanno avuto commenti positivi sui quattro anni della presidenza Trump, soprattutto dal punto dei vista dei fondi. Nonostante i ripetuti tentativi del presidente di tagliare i finanziamenti pubblici di diverse agenzie di ricerca federali, il Congresso si è opposto [Science]
   ×  L'ambito in cui Trump ha fatto più danni è sicuramente quello delle politiche ambientali. Mercoledì, il giorno dopo le elezioni, gli Stati Uniti sono ufficialmente usciti dall'accordo di Parigi. Se Biden vincesse, basterebbe una sua firma per rientrare, ma gli impegni che potrebbe portare sul tavolo della conferenza delle parti dipenderebbero anche e soprattutto dal Congresso [Vox]


ELEZIONI AMERICANE: L'ACCUSA DI FRODE E LA CRISI DEI SONDAGGI
Nel momento in cui scriviamo il risultato delle elezioni presidenziali americane non è ancora definitivo: Biden ha 39 voti in più di Trump nel collegio elettorale, ma per vincere deve conquistarne ancora 17.

Il collegio viene costituito al solo scopo di scegliere il presidente e il suo vice e lo farà a dicembre per permettere l'insediamento alla Casa Bianca a gennaio. Ogni stato americano elegge un certo numero di membri del collegio elettorale, i cosiddetti grandi elettori, che vengono assegnati ai democratici o ai repubblicani a maggioranza sulla base del voto popolare (in tutti gli stati tranne tre, dove valgono regole diverse). In totale il collegio elettorale conta 538 posti e dunque viene dichiarato vincitore il candidato presidente che se ne aggiudica almeno 270. In California, dove si nominano 55 grandi elettori, sono stati scrutinati il 77% dei voti (oltre 12 milioni di schede) e di questi il 65,1% sono andati a Biden. Per questo tutti i 55 grandi elettori dello stato sono già considerati come assegnati al Partito Democratico. Attualmente Biden ha 253 grandi elettori già confermati e Trump 214, restano da assegnarne 71. Sono sei gli stati ancora in bilico: Pennsylvania (20), Georgia (16), North Carolina (15), Arizona (11), Nevada (6) e Alaska (3). In questi stati la distanza tra democratici e repubblicani è irrisoria (poco più di 18 000 voti in Pennsylvania in favore di Trump, poco più di 1 000 in Georgia in favore di Biden, circa 77 000 in North Carolina in favore di Trump) e dunque non è possibile stabilire a chi andranno i loro grandi elettori prima del termine dello spoglio (fonte: New York Times).

E mentre Biden chiede ai suoi sostenitori di avere pazienza di aspettare la vittoria ufficiale, Trump denuncia, senza averne alcuna prova, illegalità nel processo di voto. Nella sua ultima conferenza stampa alla Casa Bianca nel tardo pomeriggio di ieri a Washington, ha affermato: "Se si contano i voti legittimi vinco facilmente", e ha ribadito che continuano i suoi sforzi per proteggere l'integrità di queste elezioni attraverso procedure legali intentate dagli avvocati della sua campagna negli stati chiave. Le maggiori emittenti televisive hanno interrotto il collegamento con la Casa Bianca comunicando ai propri spettatori che le accuse del presidente sono infondate.

Frode elettorale. Già nel discorso pronunciato a poche ore dalla chiusura dei seggi, nella notte tra martedì e mercoledì, Trump aveva messo in dubbio l'integrità del processo di voto, definendo le elezioni una frode e aveva assicurato che avrebbe fatto di tutto per vincere, appellandosi addirittura alla corte suprema.

La sfiducia nel processo di voto, in particolare del voto per posta, è al centro delle teorie cospirazioniste più diffuse negli ultimi mesi nel dibattito pubblico americano, soprattutto quello sui social media. La Election Integrity Platform, una coalizione di diversi istituti di ricerca americani, ha trovato che le teorie cospirazioniste sono alimentate da reti della destra americana che agiscono in gruppo sui social network, piuttosto che da entità straniere come era avvenuto nel 2016. Un esempio è la storia circolata alla fine di settembre di 1000 voti per posta abbandonati tra i rifiuti nella contea di Sonoma in California. La notizia era falsa, come dichiarato dalle autorità, visto che le schede per il voto per posta non erano ancora state inviate a quella data. Nonostante questo, oltre 25 000 utenti su Twitter la hanno condivisa in un singolo giorno, tra cui il figlio maggiore di Donald Trump con i suoi 5,7 milioni di followers.

Queste reti riescono ad attirare l'attenzione dei media tradizionali che le diffondono ulteriormente nel tentativo di smontarle. In un'intervista su Science Joan Donovan, direttrice dello Shorenstein Center on Media, Politics and Public Policy all'università di Harvard, ha dichiarato: "Quello che stiamo vedendo è che il modo in cui operano tradizionalmente i media si sta trasformando in una vulnerabilità".

In un altro studio condotto da un gruppo di ricercatori di Harvard, l'analisi di una grande quantità di notizie online, tweet e post su Facebook ha evidenziato che l'ampia diffusione delle storie sulle potenziali frodi connesse al voto per posta è riconducibile allo stesso presidente Trump, tramite il suo iperattivo account Twitter, conferenze stampa o interventi nelle trasmissioni della rete televisiva Fox News.

La teoria della frode elettorale non è una novità negli ambienti conservatori americani e non nasce sui social media. Se quest'anno sono stati presi di mira i quasi 100 milioni di preferenze inviate per posta, nel 2016 fu il voto degli immigrati a essere chiamato in causa, sulla base di un articolo scientifico  pubblicato nel 2014 sulla rivista con peer-review Electoral Studies. Gli autori, tra cui Jesse Richman della Old Dominion University, concludevano che nelle elezioni del 2008 il numero di voti illegittimi da parte di immigrati senza cittadinanza americana (dagli stranieri residenti stabilmente negli USA e in possesso della cosiddetta green card fino agli studenti con visti di breve durata) poteva andare da un minimo di 38 000 a un massimo di 2,8 milioni. Una stima, quest'ultima, sufficiente a mettere in discussione la vittoria di Barack Obama in North Carolina contro John McCain che gli valse la Casa Bianca. Ma la comunità accademica ha messo in dubbio questi risultati, individuando dei problemi metodologici nell'analisi. 200 ricercatori hanno chiesto alla rivista su cui era stato pubblicato l'articolo di ritrattare, ma non sono stati ascoltati.

Il controverso studio è basato su un campione di dati particolarmente grande e pregiato raccolto dal Cooperative Congressional Election Study (CCES), coordinato dal professore di Harvard Stephen Ansolabehere. Il CCES intervista oltre 50 000 persone riguardo le loro caratteristiche demografiche, preferenze politiche e intenzioni di voto. Le interviste, che vengono realizzate online dalla società YouGov, si svolgono ogni anno dal 2006 e negli anni con elezioni presidenziali o di midterm sono ripetute prima e dopo il voto per cercare di misurare quante persone che si dichiarano intenzionate a votare poi votano effettivamente e se dicono la verità. Per raffinare ulteriormente questa misura, il CCES ha acquistato dalla società Catalyst i dati relativi alle registrazioni che gli elettori devono inviare ai propri collegi per poter votare e anche la storia elettorale di ciascuno. Richman e coautori trovano che tra gli intervistati che dichiarano di non essere in possesso della cittadinanza statunitense la percentuale che risulta aver votato secondo i dati di Catalyst è dell'1,5%, mentre quella che dichiara di aver votato ma per cui non c'è conferma nei dati di Catalyst è dell'11,3%. Correggendo queste due percentuali per la dimensione del campione, gli autori fanno due stime: una conservativa che dice che una percentuale tra lo 0,2% e il 2,8% di non cittadini ha preso parte alle elezioni e l'altra, meno conservativa, che colloca questa percentuale tra il 7,9% e il 14,9% (applicando queste frazioni ai 19,4 milioni di non-cittadini che si valuta risiedessero negli Stati Uniti in quel periodo, si arriva all'intervallo che abbiamo indicato all'inizio, tra i 38 000 e i 2,8 milioni di voti illegittimi).

Due i difetti metodologici identificati dalla comunità accademica. Il primo è che alcuni intervistati potrebbero essersi definiti non cittadini per errore oppure aver dichiarato di aver votato per errore. Anche se questi errori venissero commessi raramente, porterebbero a sovrastime importanti dal punto di vista percentuale, poiché il campione di non cittadini raggiunti dal sondaggio è piccolo - circa 340 persone nel 2008 e 490 nel 2010, e ancora più piccolo è il campione di non-cittadini che hanno dichiarato di aver votato o per cui esiste un voto registrato - 38 nel 2008 e 13 nel 2010.

Il secondo vizio metodologico è quello di estrapolare la percentuale di voti illegittimi dal campione alla popolazione generale. Se, infatti, i dati raccolti nei sondaggi del CCES potrebbero rappresentare correttamente la popolazione nel suo complesso, essi sono molto meno affidabili riguardo a gruppi minoritari, come quello dei residenti senza cittadinanza, che oltre a essere meno numerosi sono anche meno raggiungibili online (è ben noto che hanno una probabilità più bassa di avere accesso a internet rispetto alla media).

Nonostante la comunità accademica avesse criticato pubblicamente lo studio, Donald Trump lo utilizzò alla vigilia delle presidenziali del 2016 per sostenere che se Hillary Clinton avesse vinto sarebbe stato solo per i milioni di voti illegittimi degli immigrati clandestini. "Non avete letto di questo studio, vero? I vostri politici non ve lo dicono quando vi parlano di quanto siano legittime le elezioni. Non vogliono parlarvi di questo", disse Trump durante un comizio elettorale in Winsconsin nell'ottobre del 2016.

Il fallimento dei sondaggi. L'inaffidabilità dei sondaggi elettorali e dei modelli di previsione su di essi basati, sembra essere una delle poche certezze con cui usciamo da queste elezioni presidenziali.

La fame di dati e di previsioni quantitative non ha risparmiato questo settore, e il giornalismo politico si è concentrato molto sulle previsioni, soprattutto in questo periodo in cui la pandemia ha reso difficile andare sul campo e raccogliere testimonianze, sì aneddotiche ma utili se inquadrate in un contesto più ampio.

Five Thirty Eight di Nate Silver, TheUpshot con i giornalisti Nate Cohn e Josh Katz del New York Times e, da quest'anno, anche l'Economist con il contributo di Andrew Gelman and Merlin Heidemanns della Columbia University, si sono prodotti in una incredibile quantità di analisi e proiezioni del voto, nessuna delle quali è riuscita a prevedere come altamente probabile il risultato a cui ci troviamo davanti. I modellizzatori si giustificano dicendo che sono i risultati dei sondaggi a essere inaffidabili e i sondaggisti rispondono che i modelli non sono sufficientemente buoni.

Secondo Cathy O'Neil, matematica, attivista e autrice di Weapons of Math Destruction, il baco è nei sondaggi. Inutile complicare i modelli, usare metodi matematici e statistici più sofisticati se i dati raccolti dai sondaggisti non riescono a fotografare la realtà della situazione. Alcuni gruppi di elettori sono difficili da raggiungere, altri mentono. O'Neil vede una somiglianza con la crisi finanziaria del 2008, quando le previsioni prodotte dai modelli si dimostrarono terribilmente sbagliate. Il problema, anche in quel caso, erano i dati su cui erano basati. L'ossessione di molti americani per i sondaggi è sintomo di un rifiuto dell'incertezza, continua O'Neil, dell'impossibilità di conoscere l'opinione degli altri per poter formarsi delle aspettative.

David Graham, giornalista di The Atlantic, sottolinea però l'importanza dei sondaggi di opinione pubblica, non tanto per ottenere previsioni dei risultati elettorali, ma piuttosto per continuare a rimanere in contatto con i propri concittadini. In un'America sempre più organizzata in bolle ideologiche, sempre più distanti geograficamente, professionalmente e nei media di riferimento, questo diventa un problema particolarmente rilevante. Senza contare il fatto che molte azioni politiche si basano sulle fotografie dell'opinione pubblica offerte dai sondaggi.

Ma le elezioni presidenziali 2020 sono solo l'ultimo episodio nella lunga storia dell'industria dei sondaggi elettorali che, nonostante tutto, è riuscita a sopravvivere quasi cento anni negli Stati Uniti. Negli ultimi tempi però le cose non stanno andando bene, a partire dalla vittoria repubblicana nelle elezioni di midterm del 2014, che furono il preludio della presidenza di Donald Trump, e che i sondaggi non furono in grado di prevedere.

In un articolo pubblicato sul New York Times nel 2015, Cliff Zukin, professore alla Rutgers University ed esperto nel campo della ricerca sociale e sull'opinione politica, individua due fattori responsabili di questa crisi. Il primo è la diffusione dei telefoni cellulari, che hanno sostanzialmente sostituito le linee fisse, il secondo è il tasso di risposta che è piombato dall'80% degli anni '80 all'8% del 2014.

L'abbandono dei telefoni fissi in favore di quelli mobili ha fatto crescere enormemente il costo dei sondaggi. Una legge del 1991 impedisce infatti di utilizzare compositori automatici per chiamare le linee mobili, come invece era d'abitudine per le società incaricate perché permetteva di passare la chiamata agli operatori solo se l'utente alzava la cornetta. Ora, invece, i numeri, generati casualmente - e non sempre attivi, devono essere composti manualmente dagli intervistatori (per raggiungere 1000 persone è necessario comporre 20 000 numeri).

La rapida diminuzione del tasso di risposta ha generato poi una perdita di rappresentatività dei campioni. Questo accade perché molte società hanno cominciato a contattare le persone via internet, nel tentativo di ridurre i costi crescenti delle interviste telefoniche con tassi di risposta così bassi. Ma i campioni di persone raggiunte via internet sono campioni cosiddetti 'non probabilistici', cioè campioni per cui non è nota la probabilità di ciascun individuo della popolazione che si vuole studiare di essere incluso. Al contrario, nei campioni probabilistici questa quantità è nota e permette di generalizzare appropriatamente i risultati del sondaggio per rispecchiare la popolazione generale. L'utilizzo dei sondaggi via internet è sempre più diffuso e non solo negli Stati Uniti, anche perché i media che li commissionano hanno visto ridurre i loro budget negli ultimi anni e sono quindi in cerca di prodotti più economici.

Se questi fattori colpiscono in generale tutti i tipi di sondaggi, i sondaggi elettorali soffrono di un problema ulteriore: gli intervistati sovrastimano la loro probabilità di andare a votare e i sondaggisti faticano a trovare dei metodi efficaci per prevederla. Qualcuno ci ha provato. In particolare, lo studio CCES, di cui abbiamo parlato all'inizio, ha tracciato un identikit di coloro che dichiarano di avere intenzione di votare ma poi non lo fanno. E questo grazie ai dati sulle registrazioni di voto e la storia elettorale acquistati dalla società privata Catalyst. Non sono molti a potersi permettere indagini del genere, che alcuni hanno stimato potrebbero essere costate 130 mila dollari. L'identikit tracciato dal CCES è stato una sorpresa: cittadini con alto grado di istruzione, alto reddito, partecipi della vita pubblica e fedeli praticanti. Sostanzialmente il tipo di persona che è sempre stato considerato più affidabile e con la più alta probabilità di partecipare alle elezioni. Di nuovo: possiamo fidarci di questo risultato?

Conclude Zukin: "Allora qual è la soluzione per i sondaggi elettorali? Non ce n'è una. Il nostro vecchio paradigma non funziona più e non abbiamo ancora capito come modificarlo. Di conseguenza, i sondaggi politici sono diventati meno accurati e non verranno aggiustati in tempo per il 2016". Possiamo dire che a quattro anni di distanza le cose non sembrano essere migliorate.

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