fbpx Che acqua bevono i milanesi? | Scienza in rete

Che acqua bevono i milanesi?

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

L'acqua che scorre a Milano è sicura? E' la domanda cui hanno cercato di rispondere al convegno tenuto ieri, 6 giugno, all'Istituto Mario Negri "Qualità delle acque e contaminanti emergenti: i risultati di un Progetto Cariplo e il confronto con i dati in Europa e USA".
I residui chimici delle attività antropiche, industriali e agricole, oltre a danneggiare direttamente l'ambiente e gli ecosistemi, rappresentano una minaccia per l'uomo attraverso i percorsi dell'acqua, fino ai rubinetti delle nostre case. A infiltrarsi nelle vie d'acqua è un gruppo molto variegato di sostanze chimiche, gli inquinanti emergenti, che dagli scarichi, passando per i fiumi, finiscono nelle falde acquifere che alimentano i pozzi delle città. Obiettivo della ricerca condotta dal Mario Negri è stato quello di analizzare i contaminanti emergenti del territorio milanese: residui di farmaci, droghe, cosmetici, sostanze ormonali e perfluorati, per citarne alcune. Le tracce dei contaminanti sono state seguite a partire dalle acque fognarie, prima e dopo il passaggio attraverso i depuratori, nelle tre falde acquifere che si estendono sotto la città fino a oltre 200 metri di profondità e indietro fino ai fiumi che attraversano il territorio milanese e che riforniscono le falde acquifere, il Lambro, il Seveso, l'Olona.

I primi segnali d'interesse su questi inquinanti per la tutela della salute risalgono agli anni '70 e i ricercatori del Mario Negri hanno raggiunto risultati molto importanti già nel 1987, con l'analisi dell'atrazina nelle acque sotterranee, la cui vendita è stata bloccata subito dopo.
Dallo studio presentato oggi risulta che le acque del capoluogo lombardo sono ben protette, grazie soprattutto al lavoro dei depuratori con i loro impianti di trattamento a carboni attivi, tra i più efficienti d'Italia, oltre all'attenuazione biologica dei fiumi. 
In circolo, tuttavia, rimane ancora una quantità di sostanze inquinanti da tenere sotto controllo.

Qualche dato: dei residui di farmaci che sono immessi ogni giorno nelle acque di scarico - come antibiotici, antinfiammatori, eccetera - i depuratori riescono a regime a filtrare circa 3/4 della massa. A questi principi attivi bisogna poi aggiungere quantità degli altri scarti di produzione chimica, disinfettanti, droghe d'abuso, caffeina, per un totale di diverse tonnellate l’anno che sfuggono al controllo dei depuratori. Nello studio, i ricercatori sostenuti da Fondazione Cariplo hanno identificato queste sostanze, valutando quante di queste passano nei depuratori e quante nei corsi d'acqua. 
Nel dettaglio, considerando l'area circostante Milano, il bacino idrografico del fiume Lambro e i depuratori di San Rocco, Nosedo e Peschiera Borromeo che raccolgono i reflui di tutta la città, in uscita si misurano, su base quotidiana, circa 2 kg di farmaci e quasi 100 gr di droghe, soprattutto cocaina, cannabis, morfina e metanfetamina.
Degli “emergenti” provenienti dai farmaci, molti ancora non si riescono a rimuovere - comunque per una frazione al di sotto del 40%; la percentuale di smaltimento delle droghe dipende molto dai singoli depuratori; la rimozione del PFOA (un acido tensioattivo usato per una varietà di usi, dal teflon all’impermeabilizzazione di tessuti e pellame, alla schiuma degli estintori) è dovuta in buona parte anche dall'assorbimento dei fanghi nel terreno.
C'è poi la "questione Lambro", che porta al suo ingresso in città un carico già consistente d'inquinanti, che inevitabilmente tende ad ingrossarsi al suo passaggio, come i farmaci veterinari provenienti dalla zona agricola della provincia a Sud e i residui di perfluorati e fluoropolimeri derivanti dalle attività industriali del settore tessile, tra gli altri.

E per le acque in profondità, da cui attingono i pozzi dell’acqua potabile? Enrico Davoli dell'Istituto Mario Negri fa notare l'importanza della dinamica idrogeologica sottostante l'area milanese. Dai dati delle due campagne investigative sulle tre falde - una sull'acqua superficiale, che registra la contaminazione maggiore, e due sui 21 pozzi che pescano dalle due falde più profonde, prima del passaggio alla potabilizzazione - risulta che la distribuzione spaziale delle sostanze non è sempre uniforme e coerente ai diversi strati geologici - come la Carbamazepina, maggiore agli ingressi degli inquinanti della città.
Per valorizzare i dati è necessario quindi allargare l'analisi estensiva sui pozzi e mappare la distribuzione degli emergenti, in modo da capirne la provenienza e porre i rimedi più efficaci.
Un primo passo in questo senso, del resto, è stato già fatto con uno dei partner del Progetto, Metropolitane Milanesi con cui è stata avviata un'operazione di mappatura georeferenziata.

In questo scenario, la presenza degli impianti di trattamento continua a essere provvidenziale, con un ottimo livello di depurazione, che mette al sicuro l'acqua che bevono i milanesi ogni giorno. Ma, ricordano i partecipanti al convegno, per farla assomigliare alla "città ricca d'acqua" dei tempi di Bonvesin della Riva, occorre, come sempre, che ci sia maggiore attenzione e cura ai sistemi infrastrutturali. 
Lo studio darà ulteriori risultati sul rischio ambientale verso fine anno.

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Intelligenza artificiale ed educazione: la ricerca di un incontro

Formazione ed educazione devono oggi fare i conti con l'IA, soprattutto con le intelligenze artificiali generative, algoritmi in grado di creare autonomamente testi, immagini e suoni, le cui implicazioni per la didattica sono immense. Ne parliamo con Paolo Bonafede, ricercatore in filosofia dell’educazione presso l’Università di Trento.

Crediti immagine: Kenny Eliason/Unsplash

Se ne parla forse troppo poco, almeno rispetto ad altri ambiti applicativi dell’intelligenza artificiale. Eppure, quello del rapporto fra AI ed educazione è forse il tema più trasversale all’intera società: non solo nell’apprendimento scolastico ma in ogni ambito, la formazione delle persone deve fare i conti con le possibilità aperte dall’IA.