fbpx Il ruolo dell’epidemiologia nella sanità pubblica | Scienza in rete

Il ruolo dell’epidemiologia nella sanità pubblica

Primary tabs

Tempo di lettura: 7 mins

Sul tema ci sono alcuni argomenti scientifici particolari che sono stati costantemente alla ribalta negli ultimi anni nel nostro Paese. Argomenti particolari perché scientifici ma con forte impatto sui media e sulle scelte politiche. Argomenti caldi di quella interrelazione che a livello internazionale è definita come “science-policy interface”.

A titolo esemplificativo proviamo ad analizzare insieme due semplici proposizioni:
a) nella Terra dei Fuochi mortalità e tumori in eccesso sono dovuti all’ambiente inquinato dal trattamento illegale dei rifiuti pericolosi;
b) nella Terra dei Fuochi mortalità e tumori in eccesso sono dovuti agli stili di vita della popolazione residente.

Non è un esercizio accademico perché sono due proposizioni facilmente ritrovabili sui media, la maggior parte delle volte interpretate e usate in contrapposizione.
Le stesse due frasi erano due delle ipotesi sulle quali abbiamo iniziato a fare ricerca oltre un decennio addietro, con un gruppo di lavoro comporto da Oms, Iss, Cnr e regione Campania.

Nell’approccio scientifico post-galileiano, secondo una logica induttiva le ipotesi vengono formulate per essere poi accettate o rifiutate attraverso un processo definito inferenziale (l’inferenza statistica è un insieme di metodi con cui si cerca di trarre una conclusione sulla popolazione in base ad informazioni ricavate da un campione).
In pratica dopo la formulazione dell’ipotesi essa prevede la valutazione della probabilità di ottenere quei risultati nella popolazione se l’ipotesi di partenza fosse vera.
A valle del calcolo dei valori corrispondenti ai dati nel campione (es. media del campione), si stimano i parametri nella popolazione in base ai risultati forniti dal campione (inferenza).
Questo percorso, fondamentale per la costruzione dell’evidenza scientifica, lo è in particolare quando studiamo fenomeni biologici affetti da elevata variabilità.
Un processo poco o per niente conosciuto da parte dei soggetti pubblici potenziali utilizzatori dei risultati, cittadini e decisori, che al contrario dell’apparenza non è difficile da comprendere e la sua comprensione è un punto chiave.
Per completezza bisognerebbe anche parlare dell’approccio deduttivo e di test per falsificazione, come proposto da Popper, ma di questo parleremo un’altra volta.  

Parzialità, riduzionismo e ideologia allontanano  dai risultati empirici realmente ottenuti

Dieci anni di studi hanno prodotto e consegnato molti risultati scientifici sulla base dei quali si può rispondere sulle due proposizioni-ipotesi, e alla fine di questo breve intervento non mi sottrarrò a questo. Penso che questo sia il primo snodo critico, forse proprio la fonte dei successivi errori e distorsioni interpretative.
Qui si inserisce il primo elemento di anomalia: oggi le due proposizioni vengono spesso declinate utilizzando solo una parte dei risultati scientifici o anche nessun risultato scientifico. Parzialità, riduzionismo e ideologia diventano le strutture portanti del pensiero e allontanano dai risultati empirici realmente ottenuti.
Quale l’impatto di ritenere che il problema principale sia quello degli stili di vita o dell’inquinamento ambientale? Un punto focale che riguarda tante situazioni e circostanze diverse, basti pensare alle affermazioni riguardanti il ruolo del fumo di tabacco a Taranto postulato in opposizione ai risultati sul ruolo del risiedere nei quartieri più esposti a inquinamento industriale di Tamburi e Paolo VI. Nozioni apparentemente paradossali ma che comunque avanzano o meglio insinuano una ipotesi alternativa rispetto a quella principale dell’inquinamento ambientale.
E’ vero che l’ipotesi alternativa è parte integrante del processo inferenziale, ma per essere degna, al pari di quella principale, deve poggiare anch’essa su basi corroborate da dati empirici robusti e replicabili. Questo per evitare che di volta in volta siano buttate nell’arena, spesso non scientifica ma mediatica, ipotesi prive di senso, che aumentano la confusione col doppio scopo di depotenziare gli studi “ufficiali” e distogliere dall’obiettivo principale che dovrebbe essere quello della prevenzione primaria.
Poco importa se ipotesi strampalate si sciolgano poi velocemente come neve al sole, l’importante è comunque aver aumentato la percezione che i dati scientifici resi disponibili da studi provati siano affetti da incertezza.
Sull’incertezza apriremo in seguito una finestra dedicata e in questa sede mi limiterò ad asserire che la sua spiegazione è un altro compito fondamentale dei ricercatori che si vogliano misurare con la pubblicizzazione delle proprie ricerche. Infatti, l’incertezza è ineliminabile ma si può limitare, spiegare, gestire.

A questo punto possiamo tornare alle due proposizioni di partenza sulla Terra dei Fuochi sulle quali la risposta che ritengo si possa dare in scienza e coscienza si possa articolare come segue:

- i risultati degli studi di epidemiologia ambientale segnalano in modo concordante una associazione tra residenza in aree con maggiore impatto da rifiuti pericolosi e eccessi di mortalità-incidenza per cause tumorali e non tumorali, tutti questi studi sono basati sulla residenza in comuni o aggregati di comuni;

- i risultati delle principali indagini su fattori di rischio individuale, dagli abusi di sostanze illecite, al fumo, all’alcol, la scolarità, le condizioni socio-economiche, l’obesità, la sedentarietà e altro ancora hanno confermato una criticità in Campania e in particolare nelle province di Napoli e Caserta (si vedano ad esempio gli studi PASSI e OKkio alla Salute dell’ISS;

- gli studi svolti considerando l’impatto da rifiuti insieme ai fattori socio-economici (indice di deprivazione) hanno mostrato una rilevanza di quest’ultimi : al proposito è interessante leggere con attenzione il lavoro del gruppo Oms-Iss-Cnr pubblicato nel 2009 che evidenzia il ruolo della deprivazione socio-economica quando si considera congiuntamente al rischio ambientale;

- i tipi degli studi effettuati fino ad oggi non hanno permesso la quantificazione esatta per il semplice motivo che nessuno studio era programmato per questo, nonostante sia stato più volte proposto;

- la dimensione del rischio ascrivibile ai due tipi di rischio, individuale e ambientale, è verosimilmente dello stesso ordine di grandezza;

- i gruppi di ricercatori impegnati a studiare rischi individuali e rischi ambientali  concludono, spesso indipendentemente, che i risultati disponibili sono sufficienti a programmare e effettuare azioni di prevenzione primaria mirati ai rischi emersi nelle aree studiate.

un’epidemiologia costruita intorno al concetto di “fattore di rischio” deve confrontarsi anche con la pratica

Questi elementi sono di primaria importanza non solo sul piano del dibattito teorico ma anche per le implicazioni sul piano pratico. Infatti, la conoscenza dei fattori di rischio e di come questi agiscono a livello individuale e collettivo è fondamentale se si vogliono mettere a punto strategie per la loro attenuazione o rimozione nella popolazione. Il tema è quanto mai di attualità nella realtà sociale odierna, in cui la crescita di autonomia e di libertà personali si accompagnano ad individualismo crescente.
Ciò ha profonda e diretta attinenza con gli obiettivi del sistema sanitario in generale e con la promozione della salute più in particolare, in quanto l’enfasi sull’individualità apre la porta ad un pericoloso sbilanciamento tra politiche rivolte all’individuo e alla comunità. Infatti, una maggiore attenzione alle scelte mirate a cambiamenti personali (per esempio di comportamento o di stili di vita) presenta il forte rischio di deprimere le strategie di interventi preventivi e di medicina comunitaria.
Il favore di cui questa opzione gode appare ancora più evidente se si considera che le campagne incentrate sullo stile di vita sono assai attraenti per le persone che vi intravedono la soluzione ai loro problemi, mentre le azioni di prevenzione primaria basate su politiche ed azioni collettive sono più complesse e sollevano interessi contrapposti.  Due esempi esplicativi sono da una parte le grandi attenzioni a prodotti/azioni per combattere l’eccesso di colesterolo, dagli integratori alimentari alle attività fisiche ai farmaci, dall’altra le difficoltà di introdurre misure di limitazione del traffico nelle città che suscitano interessi divergenti, scetticismi e contrarietà.
Tutto ciò è sicuramente poco legato alle prove di efficacia realmente esistenti, ma piuttosto a come certe azioni e prodotti sono promossi e commercializzati.
Dunque, un’epidemiologia costruita intorno al concetto di “fattore di rischio” deve confrontarsi anche con la pratica, e modellarsi per offrire conoscenze e strumenti non solo alle azioni volte alla sensibilizzazione dell’individuo ma anche a quelle di medicina di comunità, specie nel campo dell’epidemiologia ambientale nel quale si va affermando la necessità di competenze di medicina ambientale. Molto spesso le azioni mirate sul singolo individuo si prestano più facilmente per organizzare campagne di promozione della salute rispetto ad interventi tesi a modificare il livello di rischio a cui è sottoposta una comunità o addirittura una popolazione.
Per questo motivo non bisogna sottovalutare le conseguenze dannose che possono derivare dal porre al centro delle politiche di sanità pubblica i fattori di rischio individuali in alternativa a quelli collettivi. Il meccanismo su cui prestare massima attenzione è quello della “privatizzazione del rischio” che si genera dando responsabilità all’individuo rispetto alla propria salute, elemento di per se positivo.
L’assunzione del rischio come elemento di esperienza personale, porta alla colpevolizzazione per il danno subito, fino ad addebitare la responsabilità della malattia. Una sanità pubblica caratterizzata da attenzione più sull’individuo che sulla comunità contribuisce alla perdita di appartenenza alla comunità e di partecipazione individuale alle scelte collettive.

In conclusione, se oggi nella Terra dei Fuochi, come in tante altre aree inquinate, si volessero basare le scelte sulle conoscenze scientifiche disponibili non ci dovrebbe essere alcuna contrapposizione tra rischi da esposizioni ambientali e da stili individuali ma un intervento combinato a scopo preventivo e la programmazione di studi più evoluti.

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La citizen science in Italia e in Europa

Il 2024 è un anno di traguardi importanti per il mondo della citizen science: ripercorriamo in questo articolo gli obiettivi, i traguardi e gli eventi delle due principali associazioni di riferimento a livello nazionale ed europeo.

Nell'immagine di copertina: il convegno di Citizen Science Italia, tenutosi a Pisa a novembre 2023. Crediti immagine: Citizen Science Italia ETS

Quali azioni posso mettere in campo per monitorare lo stato di salute di un fiume o per la diffusione di malattie come la dengue? Quali specie di formiche vivono in città? Come possiamo organizzarci per cercare frammenti di meteore a terra? Dal monitoraggio della biodiversità, alla qualità dell’aria e dell’acqua, alla salute pubblica, fino al campo astronomico; sono davvero tanti i settori delle scienze dove i progetti di citizen science prendono forma.