fbpx Dinosauri allo specchio: chiralità decisa da un meteorite? | Scienza in rete

Dinosauri allo specchio: chiralità decisa da un meteorite?

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

Siamo soli nell’universo? La domanda che ci poniamo da secoli sembrerebbe avere una risposta. No, non parliamo di alieni o di mutanti che potrebbero invadere la Terra, ma di una forma avanzata di dinosauri, intelligenti e furbi come l’essere umano, che si sarebbe evoluta su altri mondi. La teoria è stata avanzata da un docente di chimica della Columbia University, Ronald Breslow, il quale, studiando le catene degli amminoacidi terrestri, il loro orientamento e la loro forma, ha ipotizzato che su altri pianeti si possano essere sviluppate forme di vita alternative, magari con chiralitàspeculare a quella che si riscontra sul nostro pianeta. «Forme di vita che potrebbero benissimo comprendere versioni evolute dei dinosauri», immagina lo scienziato, «per esempio, nel caso in cui i mammiferi non abbiano avuto la fortuna di vederli spazzare via dall’impatto di un asteroide, com’è avvenuto sulla Terra».

«Una delle caratteristiche che più affascinano i ricercatori che studiano i meccanismi di funzionamento della vita», spiega John Brucato, ricercatore all’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri e presidente dellaSocietà Italiana di Astrobiologia, «è la sua chiralità. Cioè una molecola è chirale se non si sovrappone alla sua immagine speculare. Così come la mano, da cui deriva il termine chirale, può essere o destra o sinistra, alcune importati molecole presenti negli esseri viventi, come gli amminoacidi e gli zuccheri, presentano chiralità opposte, appunto destra o sinistra. In particolare gli amminoacidi che formano le proteine hanno chiarità sinistra, L-amminoacidi, mentre gli zuccheri presenti nel DNA hanno chiarità destra, D-ribosio. Da quando è stata scoperta, più di un secolo fa da Louis Pasteur, l’origine della homochiralità continua ad essere un ambito di ricerca molto importante per l’origine della vita. Le meteoriti hanno, infatti, avuto un ruolo importante nell’arricchimento della Terra primordiale di materiale organico e di acqua formati nello spazio. Analizzando la chiralità degli amminoacidi estratti dalle meteoriti condriti carbonacee come il meteorite di Murchinson si è notato un lieve eccesso di amminoacidi con chiralità sinistra, mentre dagli esperimenti di sintesi in laboratorio non si riscontra nessun eccesso di chiralità cioè si producono in egual misura sia aminoacidi L che D. Recentemente un esperimento di laboratorio ha mostrato come la luce polarizzata circolarmente a destra o a sinistra possa sintetizzare nello spazio molecole con corrispondente chiralità».

Stando all’ipotesi di Breslow, sarebbero state le forme di amminoacidi portate sul nostro pianeta da un meteorite, circa 4 miliardi di anni fa, a porre le basi per la formazione degli L-amminoacidi e degli D-zuccheri. Nel suo studio, apparso nel Journal of the American Chemical Society, Breslow suppone che questo potrebbe essere accaduto anche altrove. Dunque potrebbero esserci altre forme di vita, nell’universo, basate su D-amminoacidi ed L-zuccheri, all’opposto di quello che si riscontra sulla Terra.

«Dallo studio presentato da Breslow», osserva infatti Brucato, «non si può escludere che da un’altra parte nell’universo le strutture biomolecolari possano essere diverse da quelle terrestri. Quindi non vi è alcuna ragione di pensare che le biomolecole extraterrestri debbano essere identiche alle nostre. Questo ci aiuta a mantenere una mente aperta quando si parla di vari casi che si possono incontrare nella ricerca di vita nello spazio. Quello che intendo dire è, cosa possiamo considerare come indicatore molecolare di una possibile vita aliena? Ovviamente, un oligomero di D-amminoacidi sarebbe un segnale convincente, proprio perché completamente diverso da quello presente sulla Terra. Quindi, la domanda che si pone Breslow nella sua ricerca è come possa evolvere una miscela di molecole organiche speculari alle nostre in un altro pianeta. Magari queste darebbero origine a forme di vita del tutto esotiche: forme che, forse, potrebbe non essere il caso di incontrare».

Fonte: Media INAF


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Biodiversità urbana: com'è cambiata e come proteggerla

Anche le metropoli possono essere ambienti ricchi di specie: secondo un recente studio sono ben 51 le specie di mammiferi che vivono a Roma, alcune di esse sono specie rare e protette. Nel corso degli ultimi due secoli, però, molte specie sono scomparse, in particolare quelle legate alle zone umide, stagni, laghetti e paludi, habitat importantissimi per la biodiversità e altamente minacciati.

Nella foto: Parco degli Acquedotti, Roma. Crediti: Maurizio.sap5/Wikimedia Commons. Licenza: CC 4.0 DEED

Circa la metà della popolazione mondiale, vale a dire ben 4 miliardi di persone, oggi vive nelle città, un fenomeno che è andato via via intensificandosi nell’epoca moderna: nell’Unione Europea, per esempio, dal 1961 al 2018 c’è stato un costante abbandono delle zone rurali e una crescita dei cittadini, che oggi sono circa i