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Il Big Bang come inizio del tempo: scienza o mito?

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C'è stato veramente un inizio a tutto? Ivi compreso il tempo? E' difficile immaginare una domanda più esistenziale nello spirito di ciascun essere umano. Filosofie e religioni hanno abbordato incessantemente questo tema da quando l'uomo ha lasciato tracce della sua esistenza. Ritroviamo gli stessi interrogativi presso i filosofi greci, o fra gli esponenti religiosi del Medio Evo. Alla domanda «Cosa faceva Dio prima di creare il mondo?» Sant' Agostino rispondeva: «La domanda è priva di senso poichè Dio, insieme al mondo, ha creato anche il  tempo!».  E poco più di un secolo fa il pittore francese Paul Gauguin iniziava il titolo di un suo famosissimo quadro con la domanda: «D'où venons-nous ?».

E la scienza? Dopo la scoperta di Hubble dello spostamento verso il rosso (ovvero verso le basse frequenze) della luce che ci proviene dalle più lontane galassie, sappiamo che l'universo è andato espandendosi da circa 15 miliardi di anni. Le galassie si allontanano sempre più rapidamente l'una dall'altra quanto più distano fra loro. Rimontando indietro nel tempo, e seguendo le leggi della fisica (in particolare quelle della teoria della relatività generale di Einstein) si arriva ad un istante - il Big Bang - in cui tutto l'universo che oggi possiamo osservare si concentrava in un solo punto. Di conseguenza, alcune grandezze fisiche, quali la densità e la temperatura, sarebbero state infinitamente grandi all'istante del Big Bang. Proprio l'esistenza di questi infiniti ci porta a concludere che quell'istante (convenzionalmente definito t=0) è invalicabile e che non ha senso parlare di cosa c'era prima, come non ha senso chiedersi cosa ci sia a nord del polo nord. Ma possiamo veramente far fiducia alle teorie fisiche che ci portano a questa conclusione?

In effetti, le teorie fisiche attuali hanno avuto successi altisonanti. Il cosiddetto modello standard delle particelle elementari è stato confermato, finora senza fallo, dai numerosi dati raccolti ai vari acceleratori di particelle situati un po' dappertutto nel mondo. D'altro canto, la teoria della relatività generale di Einstein ha avuto anch'essa conferme spettacolari (deviazione della luce, precessione del perielio di Mercurio, per menzionare solo le più classiche). Non sembra vi siano ragioni per dubitare la validità di queste nostre teorie almeno nei regimi in cui sono stati svolti gli esperimenti. Questo fa sì che la cosmologia moderna riposi su basi solide almeno finché si tratta di descrivere l'Universo a partire da qualche miliardesimo di miliardesimo di secondo dopo il big bang. Ma cosa possiamo dire della affidabilità di tali teorie se vogliamo rimontare il tempo ancora più oltre, fino a t=0, fino allo stesso  Big Bang?

Argomenti difficilmente disputabili ci dicono che, anche nel caso più ottimistico, fra t=0 e un breve istante (un tempo di Planck, vedi sotto) dopo il big bang, la teoria della relatività generale non può da sola descrivere l'evoluzione dell'Universo. Questo è dovuto al fatto che la relatività generale trascura l'altra grande conquista della fisica del XX secolo, la meccanica quantistica, che sappiamo dominare i fenomeni microscopici, quali quelli atomici o nucleari. Infatti, senza la meccanica quantistica, un atomo sarebbe un sistema molto instabile: l'elettrone, nel girare intorno al protone in un atomo d'idrogeno, dovrebbe irraggiare onde elettromagnetiche e, così facendo, perdere energia fino a «schiantarsi» sul nucleo (il protone in questo caso). La meccanica quantistica interviene, con il celebre principio d'indeterminazione di Heisenberg, e fa sì che, per minimizzare l'energia del sistema, l'elettrone deve mantenersi a una rispettosa distanza dal protone, una distanza detta il raggio di Bohr che vale circa 10-10 m, appunto le dimensioni di un atomo.

In modo analogo, quando si considerano gli effetti della meccanica quantistica sulla gravità, scaturisce una scala caratteristica di lunghezze (o, dividendo per la velocità della luce, una scala di tempi) che viene detta lunghezza (o tempo) di Planck, dal nome del famoso Max Planck fisico che le ha introdotte agli inizi del secolo scorso. Il suo valore, 10-35 m (o 10-43 s), è molto più piccolo del raggio di Bohr, ma in ogni modo non è zero. Vi è un consenso che, al di là di quella scala di lunghezze o di tempo, non è più possibile far fiducia alla relatività di Einstein. La domanda è: con cosa dobbiamo sostituirla? Qui nasce un problema: mentre per le interazioni non gravitazionali sappiamo come renderle compatibili con la meccanica quantistica, ogni tentativo di fare la stessa cosa per la forza gravitazionale è fallito miseramente...beh con un'eccezione.

Dalla fine degli anni sessanta esiste una nuova teoria delle particelle elementari nota come «string theory» (mal tradotta «teoria delle stringhe», invece che delle corde) nella quale tutte le particelle elementari corrispondono a stati di vibrazione diversi di un'unica entità, una cordicella vibrante (come se, in un certo modo, particelle diverse corrispondessero a note musicali diverse). Imponendo le leggi della meccanica quantistica, questa corda, in analogia con l'atomo d'idrogeno, acquista una lunghezza ottimale, detta lunghezza della corda, a priori una nuova costante della Natura. Nella versione anni sessanta/inizi settanta della teoria questa lunghezza era scelta essere dell'ordine delle dimensioni di un nucleo atomico (10-15 m) mentre nelle versioni moderne questa diviene dell'ordine della sopra-menzionata lunghezza di Planck, in altre parole ben venti ordini di grandezza più piccola.

Le dimensioni piccole, ma finite, della corda quantistica fanno sì che alcune grandezze fisiche, quali la densità e la temperatura, non possano divenire infinitamente grandi in contrasto con quello che prevede la relatività generale. Sparendo così ogni infinito sparisce anche la necessità di un inizio del tempo e si riapre la domanda alla quale S. Agostino aveva brillantemente evitato di rispondere: cosa c'era prima? Attualmente difficoltà tecniche ci impediscono di rispondere in modo preciso e sicuro a questa domanda, ma due possibilità sembrano emergere.

Nella prima l'Universo avrebbe avuto inizio in una fase non descrivibile in termini delle nozioni usuali di spazio e tempo, una fase completamente dominata dalla meccanica quantistica. Spazio e tempo sarebbero concetti «emergenti» alla fine di questa fase primordiale. Questa è la scelta che si avvicina maggiormente alle idee (non basate sulle stringhe) di Steven Hawking, che parla del tempo che diviene «euclideo», in altre parole simile ad una quarta coordinata spaziale.

La seconda possibilità, che mi sembra più appetibile anche perchè basata su certe simmetrie della teoria delle stringhe, è che l'universo abbia avuto una «preistoria» in qualche modo speculare rispetto alla sua storia. In questa fase, detta di pre-Big Bang, l'universo avrebbe subito una specie di collasso gravitazionale in un regime ancora «classico» (ovvero senza effetti quantistici rilevanti) fino a raggiungere i valori massimi di densità, temperatura e curvatura consentite dalla teoria delle stringhe. A questo punto l'Universo sarebbe entrato in una fase quantistica da cui sarebbe poi uscito per dar luogo all'Universo con la sua storia che conosciamo. Il Big Bang è così sostituito da un «Big Bounce» (Grande Rimbalzo). Questo potrebbe anche spiegare le condizioni «iniziali» molto finemente sintonizzate («fine tuned» in inglese) che servono a spiegare l'universo attuale e che, in assenza di una fase antecedente, hanno bisogno di nuovi paradigmi come quello dell'inflazione cosmologica. In altre varianti di questo scenario il processo di contrazione ed espansione si ripete all'infinito (universo ciclico).

Quest'ultima discussione sembrerebbe andare al di là del contesto della fisica per entrare in quello della metafisica, in quanto userebbe concetti non verificabili sperimentalmente. Ma così non è: in effetti, sappiamo già dagli studi dei modelli inflazionari che l'evoluzione dell'Universo primordiale lascia normalmente tracce osservabili fino ai nostri giorni. Questo succede a causa di un fenomeno detto di «congelamento» («freezing») di certe quantità fisiche durante lunghissime epoche cosmologiche. Oggi queste quantità si «scongelano» e, come un animale preistorico seppellito nel ghiaccio milioni di anni fa, ci rivelano quale fosse stato l'universo attorno al (o addirittura prima del) big bang/bounce.

Un esempio di tali tracce preistoriche è quello di un fondo stocastico d'onde gravitazionali con un tipico spettro in frequenza che potrebbe essere rivelabile negli interferometri oggi operanti (LIGO, VIRGO, ...) o in uno dei loro successori (LISA ?). Un altro risiede nel fatto che la fase "pre-banghiana" potrebbe generare "semi" per i campi magnetici galattici la cui origine è altrimenti ben difficile da spiegare. La domanda: «Il tempo ha avuto un inizio ?» potrebbe dunque  avere un giorno una risposta sperimentale.


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