02 - L'ambulanza

In un paese ci si conosce tutti. E' dunque perfettamente normale che, quando il silenzio della campagna viene rotto dalla sirena di un'ambulanza, si faccia il rapido inventario delle persone che potrebbero essersi accaparrate quella sgradevole corsa in ospedale. Se sei al bar quella caccia al malcapitato termina rapidamente. Spesso, infatti, sei a stretto contatto di gomito con chi detiene più informazioni della CIA. Neppure il tempo di chiedere chi possa essere il poveretto, che subito ti viene sciorinato un elenco di papabili, seguito a ruota da quella che, secondo il superinformato avventore, potrebbe essere la risposta più probabile alla tua richiesta. Manca solamente un tabellone con le quote per essere praticamente in una ricevitoria SNAI.

















A fare da sfondo in questo fotomontaggio è
lo spettro della radiazione solare.
Il suo studio fornisce fondamentali indicazioni
sulla composizione della nostra stella
(Crediti immagine sfondo: Harvard - CfA)

Anche quel tardo pomeriggio festivo, grazie al prezioso intervento del superinformato, l’individuazione del possibile ospedalizzando aveva richiesto si e no il tempo necessario allo scambio di qualche battuta. Per la conferma definitiva si trattava di aspettare pazientemente l’inevitabile riaccensione della sirena dell’ambulanza che iniziava il suo ritorno verso l’ospedale. Una semplice valutazione del tempo trascorso prima di vederla transitare davanti al bar avrebbe decretato la correttezza della previsione e - cosa per me piuttosto fastidiosa - avrebbe anche sottolineato ancora una volta la completezza delle informazioni in possesso del superinformato.
«Ma uno non può sapere sempre tutto di tutti…» mi sono detto un po’ stizzito. Anziché appellarmi al garante per la privacy decidevo che era preferibile architettare una vendetta più soft. Obiettivo: pizzicarlo su qualcosa che sicuramente non conosceva. Per uno che ha come obiettivo pavoneggiarsi delle cose che sa - poco importa se inutili e marginali come la conoscenza dei fatti altrui - mettere a nudo anche una pur minima lacuna poteva essere una punizione più che sufficiente. Certo non potevo imbastire su due piedi un’interrogazione scolastica: non solo non ne avrei avuto motivo, ma avrei corso il rischio che la cosa mi si ritorcesse contro. Fortunatamente mi era passata per la testa un’idea, ma i tempi di intervento erano talmente ristretti che imponevano che mi dessi immediatamente una mossa.
«Prova a far caso al suono della sirena quando passerà qui davanti…» gli buttai lì con noncuranza mentre, un po' impaziente, scrutava la strada attendendo la sospirata - ma comunque scontata - conferma alle sue previsioni.
«Perché?» mi rispose con il solito insopportabile tono saccente.
«Poi te lo dico. Adesso ascolta e basta.»
Qualche istante più tardi l’ambulanza passò davanti al bar. Al suo transito, com’era prevedibile, un sorriso soddisfatto prese corpo sul volto del superinformato. Non gli permisi di assaporarlo appieno.
«Beh, cos’hai notato nel suono della sirena?»
«Che prima era più acuto e poi è diventato più basso.» «Corretto. E questo cosa vuol dire?» incalzai immediatamente. Quello era il punto più delicato. Se riuscivo a prenderlo all’amo era fatta. Un possibile «E che ne so…» avrebbe decretato la misera fine del mio piano. Fortunatamente il superinformato abboccò.
«Semplice, vuol dire che l’ambulanza si sta allontanando e quindi il suono viene da più lontano.»
«Ma quando era alla stessa distanza mentre si stava avvicinando il suono non era altrettanto basso. Come lo spieghi?»
Silenzio. Era la prima volta - forse - che qualcuno obbligava il superinformato a rendere ragione di quanto sapeva. O pensava di sapere. Qualche risatina cominciava a serpeggiare nel piccolo crocchio di avventori che si era formato davanti all’ingresso del bar. «Ti ha fregato, questo proprio non lo sai…» buttò lì qualcuno, prontamente folgorato da un’occhiata assassina.
«Sarà un effetto dovuto al rumore del motore…» buttò lì il superinformato in un estremo e disperato tentativo di riacquistare la sua credibilità così proditoriamente incrinata.
«Ma il motore era acceso anche quando si stava avvicinando…» incalzai senza pietà. Capitolò: «Va bene, non ne ho la più pallida idea. Contento? Dimmelo tu.»
Ignorai il tono sarcastico della sua ammissione d'ignoranza e iniziai il sermone vestendo i panni del buon samaritano.
«Sarò contento quando avrò svelato il mistero. Tanto per cominciare, sei in buona compagnia: fino al 1845, infatti, nessuno avrebbe risposto meglio di te. Poi Christian Doppler, un austriaco, spiegò che era tutta colpa del movimento della sorgente delle onde sonore rispetto a chi stava ascoltando. Quando la sorgente si avvicina è come se le onde venissero compresse una contro l’altra e quindi la tonalità è più acuta. Quando si allontana accade il contrario, le onde sono più distanziate e quindi il suono è più basso.»
Poi la stoccata finale, buttata lì quasi con noncuranza mentre mi giravo per rientrare nel bar: «E’ lo stesso ragionamento che ci ha portato a scoprire che il nostro Universo si sta espandendo.»
«Come, espandendo… E poi che c’entrano le onde sonore. Mica c’è il suono nello spazio.»
Aveva abboccato anche all’ultima esca. Gongolante - ma cercando comunque di contenermi al massimo - ritornai sui miei passi.
«La luce, cioè le onde luminose, si comportano proprio come quelle sonore. Lo predisse un francese, Ippolito Fizeau, qualche anno dopo la scoperta di Doppler. Quando una sorgente si avvicina la sua luce diventa più blu, mentre quando si allontana diventa più rossa.»
«E l’espansione dell’Universo?»
«Calma. Per quella bisogna aspettare un’ottantina d’anni e le osservazioni di Edwin Hubble. Fu questo astronomo americano, infatti, a scoprire che più si osservavano ammassi di stelle lontani - gli astronomi le chiamano galassie - e più la loro luce era arrossata, segno inequivocabile di un sempre più rapido allontanamento.»
«Questo proprio non lo sapevo» confessò il superinformato.
«Missione compiuta» dissi tra me e me avvicinandomi al bancone e ordinando una cedrata. Tutto quel movimento di onde mi aveva messo sete. E poi, seppure di nascosto, dovevo comunque brindare.

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