6 - L'inutile fuga

Palazzo del Viminale, Roma - ore 7:15

L'ultima telefonata da Pisa aveva avuto un effetto dirompente, rendendo ancor più inconciliabili la posizioni di chi voleva assolutamente diffondere l'allarme e quella di chi optava per l'assoluto silenzio. All'ingegner Bertoldi, seduto in un angolo, sembrava quasi non importasse nulla di quell'ultimo acceso dibattito. Stava armeggiando con il suo tablet e improvvisamente lanciò un'imprecazione. Non era affatto nel suo stile e questo fece sì che tutti si zittirono e si girarono verso di lui.
«Mentre noi discutiamo la notizia è già nel web. C'è un sito di news americano che, citando sia fonti riservate vicine alla NASA che rumors trapelati direttamente da uffici delle Nazioni Unite, annuncia l'imminente impatto di un grosso meteorite sull'Italia centrale. E il tam-tam di Internet sta ormai diffondendo a tappeto la notizia. A questo punto credo sia da imbecilli starsene zitti.»
Benché il termine “imbecilli” fosse un po' fuori dal protocollo, nessuno ebbe da ridire.
Non fu certo l'ultima affermazione di Bertoldi a spingerlo a prendere la parola, fatto sta che, proprio qualche istante dopo, il Ministro dell'Interno richiamò l'attenzione dei presenti. Fino a quel momento se n'era stato col volto sempre più teso e preoccupato ad ascoltare le dettagliate analisi tecniche, gli scenari delle conseguenze e le ipotesi sui possibili interventi. Soltanto dopo la prima telefonata di Bergamo aveva detto qualcosa al suo segretario, che aveva abbandonato la sala in tutta fretta. Era rientrato solo dopo una ventina di minuti e si era messo a bisbigliare qualcosa all'orecchio del suo capo. Doveva sicuramente trattarsi di qualcosa di piuttosto importante e spinoso, visto l'ampio gesticolare con il quale accompagnava quel resoconto.
«Signori, mezz'ora fa ho provveduto a informare della drammatica situazione il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio, invitandoli in modo fermo e deciso ad abbandonare immediatamente la città. La loro presenza qui è assolutamente inutile e il poter contare nell'immediato futuro sulla loro figura istituzionale è assolutamente indispensabile.»
Tutti quanti annuirono e quasi nessuno fece caso a quell'inconsueta ripetizione dell'avverbio, un errore lessicale che, in tempi normali, mai e poi mai sarebbe sfuggito al Ministro.
«Ho anche provveduto a estendere l'allarme, con l'esplicita e insistente indicazione di abbandonare il più celermente possibile la città, alla Santa Sede e a tutte le sedi diplomatiche della Capitale. Da quanto mi ha riferito il mio segretario, sia all'ufficio del Presidente della Repubblica che a quello del Presidente del Consiglio, proprio pochi minuti prima della nostra chiamata, è giunta una comunicazione di allarme rosso del COPUOS classificata della massima urgenza. Allarme confermato anche dall'Ambasciatore degli Stati Uniti, che riporta come da Washington sia giunto con priorità assoluta l'ordine di evacuazione dell'ambasciata e di abbandono immediato della città. Analoghe direttive dovrebbero essere state inoltrate anche a tutte le sedi diplomatiche qui a Roma. Dai primi rapporti delle forze di sicurezza, infatti, mi risulta che numerose ambasciate siano ormai praticamente vuote. Dal Vaticano riferiscono che il Santo Padre è in volo con destinazione Orvieto e sono già iniziate le procedure per trasferire fuori Roma il personale religioso e i civili che è stato possibile contattare. Particolarmente colpito dalle parole del dottor Bergamo, mi sono permesso di far contattare anche la Direzione centrale delle Ferrovie dello Stato. Abbiamo accuratamente evitato di scendere nei dettagli...» il segretario del Ministro annuì in modo quasi plateale «...e ci è stato assicurato che tutti i treni a lunga percorrenza con direzione Roma verranno fermati alla prima stazione utile. Più difficoltosa la gestione dei treni locali. Oserei dire drammatica quella dei trasporti su strada. Impossibile provvedere in tempi tanto brevi - e senza nessuna precedente esercitazione - all'istituzione di un così elevato numero di posti di blocco come suggeriva il dottor Bergamo...»
La porta si spalancò di colpo e, trattenuto a stento da un commesso, irruppe nella sala il Comandante generale della Polizia Municipale visibilmente alterato:
«Ma che cazzo sta succedendo? In città sembrano tutti impazziti. Mai viste tante auto di servizio con sirene e lampeggianti. In alcuni punti della città, poi, il traffico è completamente bloccato. Ho sentito i miei più stretti collaboratori e nessuno ne sa nulla. L'unica voce che si sente in giro - che non si capisce da dove venga ma viene spacciata per certa - è che tutto questo casino è gestito direttamente del Ministro dell'Interno. Ma cosa state combinando?»


Sono tutti in coda. Fermi. Migliaia di minuscole formiche che si stanno invano affannando per cercare di abbandonare il formicaio...

L'ingegner Bertoldi, il più vicino al nuovo arrivato, si limitò a porgergli il tablet senza dire nulla. Il comandante sbiancò in volto e si lasciò cadere sulla sedia che aveva accanto mormorando a mezza voce: «Porc... Ma questo significa che tra neppure venti minuti qui andrà tutto per aria.»
«Vedo che ha perfettamente capito la gravità della situazione.» si limitò a dire Bertoldi.
La musichetta del cellulare, un motivetto allegro che mal s'intonava con quel drammatico momento, richiamò l'attenzione del Comandante. Attivò la comunicazione, ma quasi subito - aveva ascoltato il suo interlocutore per neppure un minuto - la interruppe senza dire una parola.
«Era un mio collaboratore. Sta sorvolando in elicottero il tratto ovest del raccordo anulare. Segnala che si sono verificati numerosi tamponamenti e almeno un paio di grossi incidenti. Mi ha anche accennato a un salto di corsia che ha coinvolto una ventina di veicoli. Per farla breve, tutto il traffico è praticamente bloccato. Voleva sapere cosa fare...» Il telefono riprese a squillare, ma il Comandante non sembrava affatto intenzionato a rispondere.
L'ingegner Bertoldi glielo prese delicatamente dalla mano e avviò la conversazione:
«Pronto. Sono Bertoldi, della Protezione Civile. Al momento il Comandante non può rispondere. Mi dica...» Anche quella chiamata non si protrasse per molto.
Con molta calma, dopo aver ascoltato, l'ingegnere chiuse la conversazione dicendo:
«Mi ascolti attentamente. Contatti subito tutti gli altri elicotteri in servizio e dirigetevi il più in fretta possibile lontano da Roma. Appena scorgete una zona idonea - sinceratevi di essere almeno a una ventina di chilometri dal raccordo anulare - atterrate immediatamente. Ad ogni modo è indispensabile che alle sette e cinquantatré non siate assolutamente in volo. Ripeto, alle sette e cinquantatré dovete essere a terra. Adesso non posso spiegarle. Buona fortuna.»
Chiuse il telefono, lo rimise in mano al Comandante e si rivolse al Ministro. «Era ancora l'elicottero della Polizia Municipale. Mi hanno detto che la situazione del traffico è identica anche in altri tratti del raccordo anulare. Sono tutti in coda. Fermi. Migliaia di minuscole formiche che si stanno invano affannando per cercare di abbandonare il formicaio.»
Guardò l'orologio: erano le sette e quarantotto. Senza dire nulla andò alla grande finestra della sala, scostò le pesanti tende che l'arricchivano e spalancò i battenti.
Era una splendida mattinata romana, una di quelle mattine che lo rappacificavano con il mondo e che, per un momento, gli facevano persino dimenticare la sua terra d'origine. Una terra decisamente più nebbiosa e - a dirla tutta - ancora troppo provinciale, ma pur sempre casa sua. Il sole era ormai sopra l'orizzonte e Bertoldi respirò a pieni polmoni quell'aria frizzante di primavera, incurante dell'assordante rumore del traffico impazzito di Roma. Finalmente poteva godersi quel panorama. Era la prima volta che, al Viminale, aveva occasione di affacciarsi a una finestra. Le altre volte che era stato invitato a quelle noiose riunioni - troppe inutili parole per i suoi gusti - si era sempre domandato quale panorama potessero celare quegli austeri tendaggi. Proprio per non apparire troppo provinciale si era sempre guardato bene dall'accostarvisi e sbirciare. Ora si stava prendendo una rivincita.
Un improvviso e intenso bagliore che, ben più luminoso del Sole, stava inondando di luce tutto il cielo lo costrinse a chiudere gli occhi. Neppure si accorse che era giunta la fine.

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