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Lei non sa chi sono io!

“Conosci te stesso”. Io e i miei studenti ci interroghiamo sul precetto delfico. Che tipo di precetto è? Etico? Epistemologico? E' un obbligo? Un consiglio? E' possibile conoscersi da soli? Conoscermi mi fa vivere meglio? E chi mi può aiutare in questa ricerca di conoscenza? La scienza? La filosofia? La psicologia? Uno studente obietta che questo precetto entra necessariamente in contraddizione con la cifra del pensiero socratico, quel “sapere di non sapere” che verrebbe quindi declinato come “so di non conoscermi”. E questa è ancora una conoscenza? Il tema ha anche forti ricadute didattiche. Se io mi conosco bene ho tutto il diritto di rifiutare una visione di me che non mi corrisponde e che viene cristallizzata in un voto. Spiego loro che stiamo toccando uno degli argomenti più dibattuti della filosofia, quello del self. Se io ho un accesso privilegiato alla conoscenza di me, perché altri pretendono di conoscermi meglio di quanto mi conosca io? L'adolescenza irrompe nella filosofia, filtrata dal tema della reputazione. Che sta diventando un'interessante area di ricerca, da quando nei social media si costruiscono ogni giorno false identità e allo stesso tempo si smascherano reputazioni usurpate. Io sono quello che credo/so di essere o quello che gli altri pensano io sia? La classe si divide, la discussione è ormai accesa. I cartesiani radicali ritengono che nessuno possa conoscerli meglio di quanto si conoscono loro, chi ha sperimentato la psicanalisi (o anche solo una volta lo psicologo d'istituto) insiste che lo sguardo dell'altro ti aiuta a conoscerti, c'è anche chi frammenta l'io in tante aree (il sapere, le emozioni, gli affetti) e per ciascun settore individua un supervisore che ne sa più di altri. L'insegnante conosce cosa so di matematica o di storia, ma non sa chi amo e chi odio, di cosa ho paura o cosa mi rende felice. Una ragazza obietta che lei sa che x è innamorato di lei, ma è troppo timido anche per ammetterlo con se stesso. Molti ridono, alcuni provano un senso di vertigine. La discussione ormai si concentra su quello che sembra più urgente: come controllo quello che gli altri pensano di sapere di me? La comunicazione diventa ora il focus: è nella comunicazione interpersonale che io conosco gli altri, gli altri conoscono me, io mi costruiscono una reputazione nella comunità. Ma Socrate lo sapeva? L'aver accettato la condanna a morte era un modo per costruirsi una reputazione? O la reputazione di Socrate è frutto del lavoro di Platone? E se fosse prevalso il parere di Aristofane?Qual è il vero Socrate? Era inevitabile cadere nel problema filosofico per eccellenza: quello della verità. Si alza una mano “Chi decide cosa è vero, prof?”. Suona la campanella. Domani inizieremo a parlare della lotta di Platone contro il relativismo dei sofisti (che non godevano certo di una buona reputazione).


http://thenewinquiry.com/blogs/marginal-utility/games-of-truth/

http://www.seuil.com/livre-9782021117790.htm

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/01/09/la-fine-della-reputazione.html