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In Italia riciclare non conviene: questo è il problema

Siamo 20esimi su 27 nella classifica della Unione Europea sulla gestione dei rifiuti (buttiamo più della metà in discarica e stiamo rallentando sul riciclo, del riuso non parliamone nemmeno. Leggi qui). La green economy certo non sta decollando nel nostro paese per quelle aziende che si occupano di riciclare i materiali raccolti in modo differenziato per dare origine a quella materia “prima seconda” che potrebbe contrastare il consumo di materia vergine. Le aziende che trattano il PET (bottiglie), per esempio, secondo Corrado Dentis, presidente di Assorimap, sono calate da 18 a 11 (leggi qui).

Faticano infatti ad accedere alle quantità necessarie anche a causa del meccanismo di approvvigionamento tramite gara europea deciso dal CONAI (il consorzio che rappresenta tutti i consorzi di filiera dei materiali degli imballaggi). Ma - obiettano le imprese che trattano il PE e PET - in altri paesi europei operano più enti che si occupano della raccolta degli imballaggi e che operano in regime di libera concorrenza, mentre da noi uno solo che agisce in condizione di monopolio. Anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha evidenziato che i rifiuti sono risorse che i Comuni non riescono a sfruttare (leggi qui).

Per giunta - contesta l'Associazione Comuni Virtuosi che ha preparato un Dossier sul tema - rispetto ad altri Paesi EU le aziende che immettono imballaggi da noi pagano un contributo ambientale (Contributo Ambientale Conai, in sigla CAC) che è molto più basso della media europea.

Anche i corrispettivi che arrivano dal Conai ai Comuni per finanziare la raccolta differenziata degli imballaggi sono più bassi di quelli che ricevono i comuni di Francia, Spagna, Portogallo e Paesi Bassi (coprono per circa un terzo quello che i Comuni in realtà spendono).

Se non si interviene in questo stato di cose - secondo l'ACV - continuerà a mancare da parte degli utilizzatori di imballaggi l'incentivo economico a ridurne quantità e optare per la totale riciclabilità, mentre i Comuni senza sufficienti risorse economiche non potranno sostenere o migliorare il servizio di raccolta differenziata. E tutto questo si ripercuoterà sull'indotto del riciclo già in sofferenza. Sicuramente non si potrà migliorare la performance di riciclo attuale, così come il dato di consumo pro capite di imballaggi, (siamo terzi in Europa). Infatti nonostante la crisi, gli imballaggi immessi al consumo dal 2000 al 2011 sono aumentati del 4%. E non parliamo di briciole, visto che gli imballi costituiscono circa il 40% in peso e il 60% in volume della spazzatura.

Il problema non è solo la quantità. Spesso le ragioni del marketing continuano ad anteporre l'estetica a discapito della riciclabilità. E' dalla fase di progettazione che si decide se optare per l'ecodesign scegliendo imballaggi in monomateriali o con materiali compatibili tra loro nella fase di riciclo e che non creano diseconomie nella fase precedente di raccolta e selezione automatica negli impianti di selezione. E invece - ne abbiamo già parlato in passato in un post riferito all'iniziativa Meno Rifiuti più Benessere in 10 mosse - molti imballi sono spesso in multimateriale e quindi per nulla o difficilmente riciclabili. Altri, potenzialmente riciclabili, vengono scartati poiché contengono coloranti e altri additivi o aggiunta di etichette coprenti sleeve che ne compromettono il riciclo. Tutta materia che - raccolta amorevolmente con la plastica con l'illusione di destinarla al riciclo - finisce per il 35% all'incenerimento e per un 4% in discarica (dati Corepla 2011).

Per invertire la tendenza serve convincere i produttori che imballaggi più semplici convengono. Serve anche riscrivere l'accordo fra ANCI e CONAI che regola tariffe e trasferimenti ai Comuni, come propone la nuova campagna dell'Associazione dei comuni Virtuosi (leggi qui). Ecco i punti fondamentali della proposta:

• triplicare la tassa per gli imballaggi da far pagare alle aziende;
• aumentare conseguentemente i contributi ai Comuni per la raccolta differenziata;
• eliminare le voci di spesa del sistema CONAI destinato all’incenerimento (operato quasi sempre all’estero) e destinare tali fondi a sostegno di cicli chiusi di recupero della materia con particolare attenzione alle frazioni plastiche residue che in Veneto e Toscana hanno già dimostrato la loro efficacia anche per quanto riguarda la creazione di nuovi posti di lavoro; estendere il riciclo (oltre che agli imballaggi) a piatti, posate, giocattoli e altri oggetti di plastica rigida, che già oggi per errore vengono buttati nel materiale da riciclare. Il sindaco di New York Bloomberg lo ha già fatto.

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