fbpx Trieste città ideale per ESOF 2020 | Scienza in rete

Trieste città ideale per ESOF 2020

Primary tabs

Tempo di lettura: 5 mins

La città di Trieste si è candidata a ospitare ESOF 2020, l’EuroScience Open Forum City of Science che, a partire dal 2004, ogni due anni, in una diversa città europea, diventa occasione per una discussione internazionale intorno ai temi della scienza e della tecnologia anche, e soprattutto, nelle sue pieghe sociali e politiche. Una grande occasione d’incontro che coinvolge migliaia di ricercatori, comunicatori, stakeholders, politici di tutto il continente.

Un grande evento di scienza e società

Per intenderci: il prossimo anno a Tolosa si aspettano 4.000 delegati da 80 paesi diversi, almeno 400 giornalisti e un pubblico di 35.000 persone di cui il 40% giovani studenti. In definitiva, un grande evento di “scienza e società”. L’unica città italiana a ospitare ESOF è stata, nel 2010, Torino. Fu un grande successo.

Trieste, crocevia d'Europa

Oggi Trieste ha molti motivi per proporre in maniera autorevole la sua candidatura. Ne segnaliamo quattro. Uno di natura, per così dire, geopolitica: la città giuliana è capofila di un’area che comprende, oltre all’Italia, l’Ungheria, la Serbia, la Repubblica Ceca, la Slovenia, la Croazia, la Bulgaria e la Romania.

Ma è sugli altri tre punti di forza più strettamente scientifici - quelli che definisco il “sistema Trieste” - che vale la pena soffermarsi.

Altissima densità di ricercatori

Con i suoi 30 centri di ricerca e alta formazione e i 10.400 ricercatori e docenti in organico nelle istituzioni scientifiche e universitarie su una popolazione di 204.000 abitanti (il 5% della popolazione), Trieste è davvero una City of Science: una città (internazionale) della scienza. La città giuliana schiera ben 37,1 addetti alla ricerca su 1.000 lavoratori. A titolo comparativo l’Italia ne conta solo 4,9 (quasi otto volte in meno); l’Europa in media 7,9. Tutti i grandi paesi non arrivano a un’intensità a due cifre: la Germania conta 8,3 ricercatori ogni 1.000 lavoratori; gli USA 9,2; il Regno Unito 9,2; la Francia 9,8. Persino i paesi che investono di più in ricerca e sviluppo (R&S) hanno un’intensità di ricercatori ben inferiore alla metà di quella triestina: 13,7 ogni 1.000 lavoratori nella Corea del Sud; 14,2 in Svezia; 15,0 in Danimarca e Finlandia.

Città della scienza “internazionale”

I ricercatori stranieri in organico nelle istituzioni triestine sono oltre 5.200: il 50% del totale. Una vera e propria eccezione in Italia, una rarità in Europa. Trieste è davvero una città internazionale della scienza. Resa ancora più preziosa dalla presenza, in città, dei primi due laboratori al mondo su cui garrisce la bandiera delle Nazioni Unite: l’International Centre for Theoretical Physics (ICTP) e l’International Centre for Genetic Engeneering and Biotechnology (ICGEB).

Il primo è stato fondato all’inizio degli anni ’60 dall’italiano Paolo Budinich e dal pakistano Abdus Salam. Quest’ultimo è stato il primo ricercatore di origine islamica ad aver vinto un Premio Nobel. A tutt’oggi gli islamici laureati a Stoccolma sono solo due: il chimico egiziano Ahmed Zewail, oltre a Salam. È ancora più rilevante il fatto che Abdus Salam abbia vinto il premio Nobel nel 1979 per le sue ricerche sull’interazione elettrodebole svolte anche a Trieste, presso proprio quell’ICTP di cui era fondatore e primo direttore.

Quanto all’ICGEB, è un laboratorio davvero singolare. Ha tre sedi principali: oltre a Trieste (prima inter pares) ci sono, infatti, quelle di New Delhi in India e quella di Johannesburg in Sud Africa. A voler significare non solo la propensione internazionale, ma la collaborazione tra primo mondo e paesi che una volta venivano chiamanti del terzo mondo e ora sono a economia emergente. In questa transizione - nello sviluppo di molti paesi del Terzo Mondo registrato negli ultimi decenni - la formazione di giovani altamente qualificati a Trieste ha avuto un ruolo non certo marginale.

Lo dimostra anche il fatto che, in questo momento, il direttore scientifico di SESAME, la luce di sincrotrone che si è accesa in Giordania e vede la partecipazione fianco a fianco di ricercatori di Israele, della Palestina, dell’Iran in un progetto scientifico e tecnologico comune, è l’italiano Giorgio Paolucci che ha a lungo lavorato alla luce di sincrotrone accesa anni fa presso l’Area Science Park di Trieste, il più grande parco scientifico e tecnologico d’Italia.

Pionieri nella comunicazione della scienza

Ultimo punto di forza - ma assolutamente non ultimo per importanza, soprattutto per la candidatura di Trieste a ESOF 2020 - è a Trieste che sono nate due delle più moderne forme di attività nella comunicazione pubblica della scienza in Italia e in Europa.

La prima è l’Immaginario Scientifico, il primo museo italiano e uno dei primissimi a scala continentale di nuova generazione, cosiddetto “hands on”, creato dal solito Paolo Budinich a metà degli anni ’80. Un autentico modello, se è vero che Vittorio Silvestrini è dall’Immaginario Scientifico di Paolo Budinich che ha preso ispirazione per fondare a Napoli la Città della Scienza, ovvero il più grande science center italiano.

La seconda attività originale in fatto di comunicazione della scienza in Italia è la creazione - sempre a opera di Paolo Budinich insieme al giornalista Franco Prattico - del Master in Comunicazione della Scienza presso il Laboratorio Interdisciplinare della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA). Nato all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, il Master è stato la prima scuola italiana, e una delle primissime in Europa, di formazione postlaurea in comunicazione della scienza. Oggi a Trieste propone un’autentica costellazione di attività nella comunicazione pubblica della scienza, abbinando all’intensità della ricerca l’originalità nella dissemination dei suoi risultati.

È per tutte queste ragioni che Scienzainrete, nel suo piccolo, si sente di fare quello che gli angloamericani definiscono un endorsement: appoggiamo la candidatura di Trieste a ospitare ESOF 2020.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Intelligenza artificiale ed educazione: la ricerca di un incontro

Formazione ed educazione devono oggi fare i conti con l'IA, soprattutto con le intelligenze artificiali generative, algoritmi in grado di creare autonomamente testi, immagini e suoni, le cui implicazioni per la didattica sono immense. Ne parliamo con Paolo Bonafede, ricercatore in filosofia dell’educazione presso l’Università di Trento.

Crediti immagine: Kenny Eliason/Unsplash

Se ne parla forse troppo poco, almeno rispetto ad altri ambiti applicativi dell’intelligenza artificiale. Eppure, quello del rapporto fra AI ed educazione è forse il tema più trasversale all’intera società: non solo nell’apprendimento scolastico ma in ogni ambito, la formazione delle persone deve fare i conti con le possibilità aperte dall’IA.