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La straordinaria "invasione" dei cinghiali in città

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Si aggirano tra le strade cittadine, creano scompiglio e dibattiti accesi, sono in costante aumento in tutta Europa malgrado siano uno dei mammiferi più cacciati. Sono i cinghiali, che grazie all'incredibile capacità di adattamento sono una delle specie vincitrici nell'Antropocene. E ci costringono a trovare soluzioni per fare fronte alla loro presenza e a ripensare il nostro rapporto con la fauna Crediti foto di Thomas G. da Pixabay

Si aggirano tra i parchi e i palazzi, suscitando un misto di curiosità e timore. Alcuni li difendono a spada tratta dalle ipotesi di abbattimento. Altri invece li considerano un ennesimo stigma del degrado urbano. Sono i cinghiali urbani, ormai una presenza costante in diverse città italiane, Capitale inclusa. «Il cinghiale è una specie che è entrata prepotentemente nella nostra quotidianità, alimenta battute, la troviamo nei meme… è una specie che abbiamo a tavola senza mangiarla, perché se ne parla a tavola o al bar» commenta Andrea Monaco, tecnologo del Dipartimento per il monitoraggio e la tutela dell’ambiente e per la conservazione della biodiversità dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA).

«Nel 2011 erano due le città italiane in cui era segnalati cinghiali nell'ambiente urbano, Genova e Trieste. Ci ritroviamo nel 2021 con oltre 100 città italiane interessate dalla presenza della specie tra le case» spiega Monaco. Uno studio condotto da ISPRA in collaborazione con La Sapienza e in fase di pubblicazione, valuta l’andamento delle segnalazioni dei cinghiali all’interno dei centri urbani dal 2011 al 2021. I ricercatori hanno raccolto le informazioni contenute in oltre 1.500 articoli pubblicati online da 187 diverse testate. In totale hanno validato 863 osservazioni, che mostrano un netto aumento dei cinghiali urbani nel corso degli ultimi dieci anni. Le dimensioni dei centri abitati frequentati vanno da paesi con circa mille abitanti a metropoli come Roma. Nel 34% dei casi, la presenza di cinghiali a spasso tra le strade si è verificata in modo continuativo per almeno tre anni.

Una popolazione in continua crescita

La crescita esponenziale è in effetti una caratteristica delle popolazioni di cinghiale, in Italia e in Europa, nonché nelle Americhe e in Australia, dove è una specie aliena particolarmente invasiva e problematica. In Italia e in Europa, invece, il cinghiale è una componente naturale della fauna, malgrado diversi media e social riportino erroneamente che si tratta di una specie alloctona. Originariamente distribuito nell’intero continente eurasiatico, come altri grandi mammiferi, il cinghiale ha subito nei secoli una drastica diminuzione per causa umana. Come per svariate altre specie di mammiferi in Italia, le cose sono poi cambiate a partire dagli anni Cinquanta- Sessanta, con lo spopolamento di molte aree rurali e montane, che ha favorito l’aumento del bosco. Iniziarono poi le prime regolamentazioni della caccia, e, soprattutto, si verificarono diverse immissioni di cinghiali a scopo venatorio, spesso non autorizzate. A questo si somma la grande capacità di adattamento del cinghiale, suide onnivoro e in grado di vivere nei contesti più disparati, animale intelligente e sociale che fa cucciolate numerose (e anche qui diffidate dalle bufale: gli studi dimostrano che è raro che si riproduca più di una volta all’anno, anche se vi capiterà di leggere il contrario).

Secondo ISPRA oggi in Italia sono presenti almeno un milione e mezzo di cinghiali, numero minimo stimato sulla base dei dati disponibili sugli animali prelevati e dei parametri reperibili nella letteratura scientifica. «Sicuramente è di fronte ai nostri occhi il fatto che la gestione della specie, in particolare la gestione venatoria, non è stata in grado di frenare in maniera significativa l'esplosiva crescita del cinghiale. I dati che abbiamo  lo dimostrano: nel 1995 gli animali prelevati erano circa 50.000, dopo meno di trent'anni questi 50.000 sono diventati quasi 300.000. Quindi il prelievo in caccia è aumentato di cinque volte nel corso di trent'anni. E però la popolazione continua a aumentare e a espandersi» spiega Monaco.

Un aumento che è comune a gran parte dell’Europa occidentale, e a cui i grandi numeri dei carnieri sembrano non riuscire a porre rimedio. Ma come chiarisce Andrea Monaco, la spiegazione sta soprattutto nelle modalità in cui vengono cacciati gli animali: «Quello che vediamo è che più che la quantità, è la modalità con cui gli animali vengono prelevati a fare la differenza. Circa l’86% dei prelievi è fatto con la tecnica della braccata con i cani da seguita,1 che si concentra sugli animali più grandi, sia maschi che femmine. Questo comporta un ringiovanimento della popolazione, e la riproduzione delle femmine a un’età molto precoce rispetto alle condizioni normali. Le giovani femmine sono inoltre aiutate fortemente dalla grandissima disponibilità di alimento di origine antropica che viene messo a disposizione degli animali, in particolare dal mondo venatorio, per vincolarli ai terreni di caccia e per aumentarne volontariamente la produttività, al fine di aumentare i carnieri, cioè il numero di animali abbattuti annualmente. Ecco, tutto questo intervento di destrutturazione demografica e di doping alimentare, si trasforma in una popolazione di cinghiale che è molto distante da quella che dovrebbe essere una popolazione strutturata naturalmente, una popolazione in continua crescita perché ha un potenziale riproduttivo che è talmente elevato che neanche i predatori naturali, che peraltro sono in aumento, riescono minimamente a contenere».

Una specie adattabile, vincitrice nell’Antropocene

Il cinghiale è una di quelle specie, insomma, decisamente vincitrici nell’Antropocene. Una specie che riesce a sopravvivere in contesti diversissimi tra loro, a fare fronte a un prelievo venatorio massiccio, e che negli ultimi decenni sta riuscendo a conquistare anche le aree urbanizzate, ambienti inospitali per la maggior parte delle specie, proprio grazie alla sua plasticità e adattabilità. Il consumo di suolo e l’espansione del tessuto urbano sono infatti, in genere, fattori importanti di perdita della biodiversità. Le specie adattabili, però, riescono in qualche modo a fare di necessità virtù e a modificare il proprio comportamento, a volte persino le proprie caratteristiche biologiche per sopravvivere in mezzo al cemento.

I cinghiali urbani, peraltro, non sono affatto una esclusiva italiana: anzi, ancor prima che si avvistassero i primi esemplari intenti a grufolare nelle città del Belpaese, i cinghiali erano abitanti abituali di città come Berlino e Barcellona, dove vengono portati avanti sia il monitoraggio degli animali che azioni che cercano di contenere l’apparentemente inarrestabile successo dei cinghiali cittadini. A Barcellona, il canale di ingresso è il parco naturale di Collserola, un’estesa area verde alle porte della metropoli, che negli anni ha visto un aumento della presenza di abitazioni umane. Maggiore presenza umana significa in parte aumento della disponibilità di cibo altamente nutriente, sotto forma di rifiuti organici e crocchette per i domestici. Le colonie feline, in particolare, offrono una gradita dispensa ai golosi suini (che ricordiamo non sono vegetariani, ma onnivori e quindi non disdegnano affatto la carne). I cinghiali entrano all’interno delle città a partire dalle zone rurali periurbane sfruttando dei corridoi verdi come i corsi d’acqua, in particolare laddove la vegetazione ripariale è più fitta. In pratica, la presenza di risorse alimentari favorirebbe l’immigrazione nelle città dalle circostanti aree rurali, con un andamento stagionale che ha un picco nei mesi tardo primaverili.

La vita cittadina comporta tutta una serie di modificazioni del comportamento: in genere i cinghiali urbani sono decisamente meno timorosi delle persone rispetto ai loro conspecifici di campagna e tollerano situazioni di disturbo antropico elevato. Ma la vita cittadina comporta anche delle variazioni fisiologiche: i cinghiali barcellonesi sono decisamente più…flaccidi. Hanno una maggiore massa corporea rispetto ai cinghiali che vivono in contesti naturali, però non è massa muscolare ma grasso. Infatti, i cittadini hanno un più elevato livello di trigliceridi nel sangue, mentre la creatinina è più bassa. Una migliore condizione corporea può facilitare la riproduzione, anche considerato che la maturità sessuale delle femmine viene raggiunta con un peso soglia di circa 30 Kg.

Crediti foto Leonhard Lenz, CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons

Cinghiali a Berlino -Crediti foto Leonhard Lenz, CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons

Nuovi e vecchi conflitti

Se un tempo la costante espansione del cinghiale era causa di conflitto sociale tra il mondo venatorio, interessato alla presenza della specie, e gli agricoltori, preoccupati dagli ingenti danni alle colture, oggi la contrapposizione si amplia e coinvolge anche i cittadini, molti dei quali sono del tutto impreparati a fare fronte alla presenza di un mammifero di grossa taglia. In effetti il cinghiale in città è anche un problema di pubblica incolumità, basti pensare al rischio di incidenti stradali (le stime di ISPRA per gli ultimi anni parlano di alcune migliaia di collisioni all’anno). A questo si somma il fatto che i cinghiali possono rovesciare i cassonetti, distruggere un giardino alla ricerca di bulbi e lombrichi, possono caricare le persone se si sentono minacciati e se vengono loro precluse vie di fuga, oppure involontariamente fare male se insistono nella richiesta di cibo. E poi, in molti casi vengono associati al degrado e provocano quindi disgusto nei cittadini. Non a caso le foto dei cinghiali di fianco a cassonetti straripanti di rifiuti sono rapidamente diffuse attraverso un tam tam mediatico e commentate sui social con disgusto e anche rabbia. Alcune pagine social mostrano immagini di cinghiali per le strade romane e le accostano alle favelas. «Il termine è decisamente fuorviante. Io credo che si possa associare il cinghiale al degrado solo se per degrado intendiamo una cattiva gestione dei rifiuti, dei resti alimentari, magari lasciati incustoditi per cani e gatti di quartiere, la totale mancanza di gestione oculata e compatibile con i valori naturali del verde pubblico, in particolare della vegetazione ripariale» commenta Monaco.

«Abbiamo fortissimi margini di miglioramento in termini di riduzione del rischio di contatto tra umani e cinghiali. È necessaria una gestione attenta delle risorse trofiche e degli spazi verdi urbani e periurbani e soprattutto un aumento del livello di educazione collettiva nel rapporto con gli animali selvatici che non deve scimmiottare il rapporto che abbiamo con i nostri animali domestici» commenta Monaco. Ed è quello che sta facendo Barcellona, dove si lavora su due fronti: da un lato azioni mirate di contenimento dei cinghiali, con abbattimenti mirati sulle femmine, dall’altro una gestione degli spazi verdi, e la comunicazione, perché il problema lo creano le persone con i loro comportamenti.

Imparare a relazionarsi con gli animali selvatici per la coesistenza

«Ad oggi, in Italia gli sforzi fatti spesso non sono stati adeguati alla complessità del fenomeno. Abbiamo alcune situazioni dove si è operato in maniera interessante. Per esempio a Genova o a Trieste, hanno messo in campo in questi anni una grande capacità di intervento rapido per la rimozione degli animali in contesto urbano, ma non si può dire lo stesso per quanto riguarda il rispetto del divieto di alimentazione degli animali. Per esempio, a Genova c’è quotidianamente un gruppo di cittadini che lanciano la focaccia ai cinghiali dal ponte sul fiume Bisagno. In passato, la gestione del fenomeno a Bari aveva dato un esempio molto buono di collaborazione tra i diversi soggetti pubblici che a diverso titolo sono interessati dalla problematica. Ci sono dei pezzi di esperienza che sicuramente possono essere un buon riferimento, ma non si può parlare di una strategia nelle città, soprattutto di quelle che hanno un problema manifesto da tanti anni, che abbia messo in campo tutti gli strumenti a disposizione» afferma Andrea Monaco. «Detto ciò anche in un contesto come Barcellona dove il fenomeno è presente da almeno vent’anni, dove sono state messe in campo diverse strategie anche innovative, si è riusciti a tamponare, ma non a risolvere del tutto il problema. Dobbiamo creare le condizioni affinché i contesti urbani siano meno attrattivi per questi animali che comunque vengono da fuori, quindi al contempo dobbiamo lavorare anche e soprattutto al di fuori del contesto urbano, perché le densità di questi animali non siano talmente elevate da saturare gli spazi e arrivare nelle città». ISPRA continuerà con il monitoraggio del fenomeno dei cinghiali urbani e sta valutando la predisposizione delle linee guida da mettere a disposizione dei comuni e della cittadinanza.

La presenza dei cinghiali, e in generale dei grandi mammiferi in città, ci fa fare i conti con la nostra distanza culturale dalla natura. La nostra tendenza è quella di trattare tutti gli animali come fossero cani e gatti, offrendo loro del cibo, cercando di toccarli, avvicinandoci per fare foto. Esattamente il contrario di quello che bisognerebbe fare per far sì che non insorgano problemi. Offrire del cibo abitua gli animali selvatici alla nostra presenza, e finisce per farci considerare una sorta di distributore di cibo. Il che può rivelarsi alquanto problematico quando si ha a che fare con un animale di 100 Kg in grado di spostare massi pesantissimi con un colpo di muso. Insomma, lasciamo selvatici i selvatici, aiutiamoli a mantenere le distanze, diamo il nostro piccolo contributo per una via di coesistenza, sempre più necessaria in questo pianeta a misura di cittadini.

Note
1.  La braccata è una tecnica di caccia collettiva in cui i cacciatori si dividono in battitori, che devono scovare l’animale e costringerlo a fuggire, con l’ausilio di cani, e in poste, cacciatori che, dislocati in posizioni con buona visibilità, attendono l’uscita dell’animale per sparargli. Il tiro viene effettuato mentre l’animale è in movimento e pertanto risulta difficile operare una selezione.

 

 

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