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La mielina torna se si sfiamma

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Oligodendrocita, modificato con GFP (Green Fluorescent Protein) - Credit: photo by Jurjen Broeke - Wikimedia - Pubblico dominio

Il nostro cervello è un organo incredibilmente complesso, formato da molti miliardi di cellule. Tra queste, i neuroni sono responsabili della trasmissione dell’impulso nervoso, mentre altre cellule, chiamate oligodendrociti, avvolgono i lunghi filamenti dei neuroni a formare la guaina mielinica, una struttura isolante che avvolgendosi strettamente ai prolungamenti dei neuroni, permette un’efficiente propagazione degli impulsi nervosi da una cellula all’altra. Nella sclerosi multipla, una malattia degenerativa demielinizzante, questa guaina viene danneggiata, rendendo la trasmissione nervosa più lenta e difficoltosa. Viene anche classificata come malattia autoimmune perché è lo stesso sistema immunitario del soggetto che non riconoscendo la mielina come componente essenziale della cellula innesca un processo di autodistruzione. Per questo motivo, gli individui affetti da sclerosi multipla iniziano a manifestare tremori, spasmi muscolari, affaticamento, che in molti casi può peggiorare fino a portare alla paralisi degli arti.

Un farmaco per accelerare la produzione di mielina 

Negli ultimi vent’anni, sono stati sviluppati diversi farmaci immunomodulanti e anti-infiammatori che riescono a tenere sotto controllo i sintomi della sclerosi multipla, senza però riuscire a curare le lesioni alla mielina. Le nostre ricerche sono invece orientate a un approccio rimielinizzante, che sfrutta le capacità innate di alcune cellule progenitrici, giovani e ancora plastiche, presenti anche nel cervello adulto e che con la loro progressiva maturazione diventeranno nuovi oligodendrociti in grado di produrre nuova mielina.

L’idea non e di per sé nuova, ma è sempre stata difficilmente percorribile per la mancanza di un bersaglio specifico su queste cellule. Noi un bersaglio l’abbiamo individuato più di 10 anni fa e si chiama GPR17. Sappiamo che, grazie a questo recettore, la cellula riceve segnali dall’ambiente esterno e li rielabora “decidendo” se e quando iniziare a produrre mielina. E’ chiaro quindi che intervenire su questa “decisione” con un farmaco potrebbe indurre una cellula progenitrice a svilupparsi più velocemente e di conseguenza a mielinizzare in modo accelerato; nel caso della sclerosi multipla, ma anche di altre malattie neurodegenerative, questo potrebbe tradursi in una ricostruzione dei tratti di mielina danneggiata.

L'ambiente infiammato blocca la terapia 

In linea teorica questo può sembrare molto facile, ma nell’articolo che abbiamo recentemente pubblicato sulla rivista Glia, dopo essere riusciti a dimostrare che in due diversi modelli di sclerosi multipla effettivamente i progenitori che esprimono GPR17 possono generare in vivo cellule mature mielinizzanti, abbiamo notato che questa loro abilità dipende dalla “permissività” dell’ambiente circostante. Infatti, se nel tessuto cerebrale sono presenti molecole infiammatorie in grande quantità, come spesso succede nelle lesioni attive dei pazienti, il processo di maturazione di queste cellule è completamente inibito.

Lo abbiamo dimostrato utilizzando una linea di roditori sviluppata nel nostro laboratorio, in cui le cellule che esprimono GPR17 sono fluorescenti, e quindi facilmente tracciabili nel sistema nervoso durante l'evoluzione della malattia. Nel modello dell’EAE (encefalomielite autoimmune sperimentale), in cui la demielinizzazione è associata a forte infiammazione sia a carico del cervello sia del midollo spinale, le cellule fluorescenti iniziano rapidamente a reagire alle lesioni ma poi rimangono bloccate senza rispondere in modo riparativo. Nel modello del cuprizone, in cui invece la demielinizzazione viene indotta localmente nel cervello con un agente tossico, l’infiammazione è molto minore e i progenitori reagiscono prontamente e riescono anche a portare a termine la maturazione, fornendo quindi nuovi oligodendrociti che contribuiscono alla rimielinizzazione.

Quest’ultima scoperta ci dice che il sistema nervoso, anche se danneggiato, mantiene le sue capacità di autoripararsi, ma che non riesce a metterle in pratica finché l’ambiente rimane ostile, ad esempio per la presenza di fattori infiammatori. Infiammazione e demielinizzazione sono quindi due aspetti strettamente interconnessi e questo suggerisce che una terapia del futuro non potrà limitarsi a considerare l’uno o l’altro. Anzi, questo apre la strada a terapie combinate, in cui molecole selettive per GPR17, già in sviluppo nel nostro laboratorio, potranno essere impiegate insieme a molecole anti-infiammatorie per potenziare la riparazione innata di cervello e midollo spinale.

Referenza:
Coppolino GT, Marangon D, Negri C, Menichetti G, Fumagalli M, Gelosa P, Dimou L, Furlan R, Lecca D, Abbracchio MP. “Differential local tissue permissiveness influences the final fate of GPR17-expressing oligodendrocyte precursors in two distinct models of demyelination”, Glia. 2018; doi: 10.1002/glia.23305.

 


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