fbpx Iain Mattaj mi ha detto che… | Scienza in rete

Iain Mattaj mi ha detto che…

Primary tabs

Tempo di lettura: 11 mins

Ha lasciato lo European Molecular Biology Laboratory di Heidelberg ed è arrivato a Milano come direttore dello Human Technopole: Iain Mattaj, intervistato da Luca Carra, ci racconta di questo nuovo polo di ricerca

Mi sbaglierò, ma in un’ora intera di intervista il direttore di Human Technopole non ha mai pronunciato la parola “innovazione”. Cosa che, oltre a rendermelo simpatico, rivela la sostanza dell’uomo, scienziato fino al midollo e poco aduso al vaniloquio delle conversazioni correnti sulla ricerca scientifica.

Iain Mattaj è un folletto scozzese dal sorriso disarmante dedito alla ricerca di base in campo biologico. Ha lasciato l’European Molecular Biology Laboratory e l’amata Heidelberg dove ha vissuto per 35 anni nel 2018 per planare sulla caotica Milano, che comunque trova “fun”, divertente.

Passa la maggior parte del suo tempo a Palazzo Italia, una sorta di Fortezza Bastiani nel deserto dei tartari dalla ex Expo, ora Mind. Ma più che al capitano Drogo in attesa del nemico, pare un monaco cistercense impegnato a fondare una nuova abbazia, aiutato da un manipolo di confratelli (soprattutto consorelle), in attesa di rinforzi che nei prossimi tre-quattro anni popoleranno questo nuovo polo della ricerca. Le chiamate sono in corso, e quelle già effettuate hanno selezionato le figure chiave dei centri di ricerca in cui si articolerà Human Technopole: Piero Carninci (genomica), Alessandro Vannini e Gaia Pigino (biologia strutturale), Giuseppe Testa e Nereo Kalebic (neurogenomica), Francesco Iorio e Florian Jug (biologia computazionale). Mentre con il Politecnico di Milano è già avviato il CADS (Center for Analysis, Decision and Society) che rappresenta la spina dorsale informatica che elaborerà i Big Data a cavallo fra ricerca di base, sistemi sanitari e possibili ricadute sociali del progetto.

Dal quarto piano di Palazzo Italia dove mi riceve Mattaj, oltre all’Albero della vita, si vedono crescere i primi edifici che ospiteranno i laboratori e che nei prossimi anni dovrebbero popolarsi di circa 1.500 ricercatori. Spingendo lo sguardo verso la porta che un tempo vedeva affluire le torme di turisti dell’Expo, si vede crescere a vista d’occhio il nuovo Ospedale Galeazzi (Gruppo san Donato), che insieme ad altri centri clinici collaborerà con HT.

Cominciamo.

Iain Mattaj, sull’Human Technopole ne abbiamo viste e sentite tante. Ci dice qual è l'obiettivo principale del centro?

Contribuire alla salute e al benessere dell'uomo, e il modo in cui abbiamo scelto di iniziare l'attività in quest'area presta una forte attenzione alla genomica personalizzata. Le nuove tecnologie al servizio dello studio genomico di DNA e RNA si sono talmente sviluppate in questi anni che possiamo davvero aspettarci di avere una maggiore comprensione di molti tipi di malattia umana da parte della genetica prospettiva.

Quindi Human Technopole è focalizzato su malattie come il cancro?

Sì e no. Noi qui non curiamo pazienti, ma studiamo la biologia che sta alla base della comprensione delle malattie. Se dovessi dare una definizione di Human Technopole direi: sarà un istituto che studia la biologia umana, e la malattia è un aspetto della biologia umana, ma è solo una sua parte. Oggi sappiamo molto sulla genetica del cancro anche grazie a persone che studiando i lieviti hanno scoperto il ciclo cellulare, e che per questo hanno vinto il Nobel. Altri studiando i ricci di mare hanno scoperto le cicline (proteine che regolano il ciclo cellulare, ndr.). E altri ancora studiando come i batteri si difendono dai virus hanno scoperto l’editing genetico Crispr.

… che voi utilizzerete nel vostro centro?

Certamente. Useremo l'editing genico come strumento sperimentale nelle cellule e negli animali e così via. Non siamo un ospedale, quindi non faremo sperimentazioni su neonati…, e nemmeno su bambini della mia età... (ride). Si tratta di uno strumento straordinario per studiare gli effetti dei cambiamenti genetici.

Ci sono altre iniziative scientifiche internazionali ispiratrici di Human Technopole?

Il Francis Crick Institute di Londra è probabilmente il centro più simile all'Human Technopole. La differenza è che l'intenzione di Human Technopole è anche quella di essere un centro in cui si realizzano infrastrutture che non sono solo ad uso dei ricercatori interni, ma che possono essere utili alla comunità. Faccio un esempio: alcuni dei settori chiave della nostra iniziativa, come la biologia strutturale, si avvantaggiano di tecnologie sempre più avanzate, come la microscopia crio-elettronica ad alta risoluzione, che non sono al momento largamente disponibili per la comunità accademica in Italia. Quindi penso che possiamo condividere alcune infrastrutture con la comunità scientifica.

Quindi il vostro obiettivo è di creare un'infrastruttura aperta anche ad altri gruppi... È corretto? Lo chiedo perché su questo punto ci sono state anche discussioni e iniziative parlamentari.

Già. Se si rilegge la mia prima intervista che ho rilasciato nel dicembre 2018 sulle mie intenzioni per Human Technopole, ho proprio detto che vogliamo realizzare un’infrastruttura scientifica al servizio della comunità. Questo è un punto che faceva parte del programma di HT fin dall'inizio. Ma è necessario aggiungere che Human Technopole ha un suo programma di ricerca. E questo è importante, perché non si possono sostenere nel tempo buone infrastrutture se non si hanno gli esperti che sanno come usarle correttamente e seguono lo stato dell'arte. Se metti in piedi qualcosa che è semplicemente una struttura di servizio, può funzionare molto bene per un anno o due, poi arriva una nuova macchina e la gente non ne sa nulla e quindi la struttura diventa meno utile...

Quello che faremo è costruire le strutture intorno alle competenze che acquisiamo. La ragione per cui al momento restiamo un po' vaghi e “aperti” sul programma, è perché molto del suo sviluppo dipenderà dalle persone che porteremo nel nostro centro. Sulla base delle call che abbiamo fatto quest'anno e dei ricercatori che stanno arrivando, cominciamo ad avere un’idea più precisa su ciò che faranno i nostri sette gruppi di ricerca.

Cominciamo allora dalla biologia strutturale, quali saranno i principali campi di indagine?

Credo che la biologia strutturale sia ormai diventata una materia molto più ampia, soprattutto a causa degli sviluppi tecnologici. Studieremo la struttura delle molecole che sono importanti nelle malattie a livello atomico. Questo può essere utile per due motivi: il primo è di scoprire esattamente cosa fanno. Il secondo è che la biologia strutturale è in realtà spesso un buon modo per progettare farmaci o composti destinati a diventare a farmaci che possono bloccare o potenziare l'attività di alcune molecole. La biologia strutturale va dalla struttura atomica alla comprensione del contesto cellulare in cui si svolgono particolari funzioni. Per esempio, le aree che mi aspetterei di indagare nei prossimi cinque o dieci anni sono la capacità di vedere specifiche molecole che agiscono sulla cromatina e nel contesto delle altre molecole che interagiscono nella cromatina.

Oggi si parla molto di medicina stratificata o di precisione. Che ruolo avrà nel vostro programma?

La medicina di precisione non è una cosa particolarmente nuova, in realtà. La medicina cerca di stratificare le malattie da molti anni, ma penso che la comprensione molecolare dei meccanismi della malattia permetta oggi una stratificazione molto migliore. Il settore principale di indagine riguarda ovviamente il cancro. Le analisi molecolari ci hanno fatto capire che il cancro si compone in realtà di centinaia, forse anche migliaia di malattie e fenotipi molecolari diversi. Il primo passo è la classificazione, il secondo passo è cercare di utilizzare questa classificazione. Nello studio del cancro il futuro sarà la combinazione di trattamenti: si combina un farmaco con un altro farmaco, o si combina un farmaco con l'immunoterapia o con diversi tipi di trattamento. Perché se si usa un solo trattamento, il cancro si adatta abbastanza rapidamente.

Agli albori del progetto Human Technopole si parlava molto anche di “actionable genomic” per lo sviluppo di nuovi farmaci. Cosa vuol dire e che ruolo ha nel vostro programma?

Penso che ci saranno due modi in cui saremo impegnati su questo fronte: i biologi strutturali, partendo da un quadro molto dettagliato, cercheranno di utilizzarlo per aiutare la progettazione dei farmaci. L'altro è quello di utilizzare queste informazioni genomiche a scopo terapeutico. Una delle persone che si uniranno a noi alla fine di quest'anno lavora già su questo, occupandosi di tumori derivati da pazienti di vario tipo e di testare le combinazioni di farmaci per vedere quali combinazioni di farmaci possono funzionare.

E qui arriviamo al vostro centro di biologia computazionale. In cosa consiste?

Esaminare in modo automatico e su larga scala molte combinazioni diverse di farmaci per aggredire le cellule di un particolare cancro, di un particolare paziente. Questo tipo di ricerca è ancora in fase iniziale, ma credo che ci siano due potenzialità: una è di definire combinazioni di farmaci che funzionano bene sulla base delle caratteristiche genetiche del singolo tipo di tumore. Siamo abbastanza vicini al momento in cui si potrà prelevare un campione di tumore a qualsiasi paziente per sequenziarlo e arrivare di conseguenza a un trattamento più mirato.

Oggi si parla molto anche di riutilizzare farmaci nati per altri scopi.

Sì, precisamente. Uno dei modi in cui è stato utilizzato questo approccio genomico consiste nell’individuare effetti collaterali simili in farmaci anche molto diversi dal punto di vista chimico e terapeutico. In questi casi si cerca di vedere se per alcuni di questi farmaci ci sono bersagli molecolari conosciuti. Quello che hanno scoperto i gruppi impegnati in queste ricerche è che in un numero molto significativo di casi sono stati riproposti farmaci per nuovi bersagli terapeutici.

Human Technopole ha anche l'ambizione di affrontare il tema della prevenzione?

Sì, c'è il desiderio che gli studi genomici diano informazioni che aiutino a informare le persone sul tipo di cose che dovrebbero evitare. Non ci sono molti studi al riguardo, ma ci sono molte predisposizioni genetiche che possono essere migliorate o addirittura prevenute da cambiamenti nel comportamento, per esempio nella dieta. Personalmente però sono ancora scettico su quanto efficacemente questo possa realizzarsi a breve termine. Quello che ci manca per trasformare queste informazioni in interventi veramente utili sono gli strumenti di analisi automatica che ci consentano di estrarre tutte le informazioni utili sulla singola persona e sulle sue predisposizioni. In termini di sanità pubblica e prevenzione - tralasciando qui qualsiasi considerazione etica o sulla privacy - sarebbe un investimento incredibilmente efficiente per lo Stato poter fornire informazioni cliniche su richiesta ai medici per i loro pazienti.

Il vostro centro si occuperà anche di screening della popolazione e di genomica?

Ci impegneremo in questo insieme ad altri. Ci sono studi di genetica di popolazione molto promettenti. Succede per esempio per la Sardegna, dove è stato condotto uno studio di coorte su una popolazione che ha una composizione genetica piuttosto insolita, con il risultato di poter meglio comprendere le malattie che sono prevalenti in quella popolazione, e utilizzare questa base genetica in una fase successiva per cercare di disegnare nuovi trattamenti. Ci sono diversi studi di coorte molto interessanti e abbastanza grandi anche in Italia, che purtroppo, a differenza della Sardegna, non hanno i finanziamenti per poterlo portare avanti. Stiamo già parlando con due degli organizzatori di questi studi di coorte, uno dei quali si trova in Sicilia. Potremmo lavorare con loro per studiare la componente genetica, perché questo renderebbe le loro informazioni molto più utili.

State pensando di avviare anche collaborazioni internazionali?

Ci sono alcune iniziative in corso in Europa e nel mondo a cui vorremmo partecipare. Alcune di queste sono nuove ricerche genetiche su larga scala. È il caso del programma europeo flagship Lifetime Initiative, che avrà un futuro anche se purtroppo la Commissione europea ha deciso di non finanziare più i progetti flagship. Quasi certamente parteciperemo anche al progetto Human Cell Atlas, un progetto internazionale che si occupa di biologia cellulare.

Un altro centro di Human Technopole è il Data Center. Quali saranno i suoi compiti principali?

Il data center è un'infrastruttura, quindi si occuperà di storage e di calcolo ad alte prestazioni. Penso sarà molto utile avere un centro dove le risorse di dati biomolecolari disponibili possano essere combinate con altri dati sociosanitari. La nostra idea è di ricavare dall’analisi massiva di questi dati indicazioni utili ai decisori politici, sia sugli aspetti sociali della salute, sia su quelli economici.

Faccia un esempio.

Il bello dell’analisi dei dati è che si possono fare connessioni. Per chi analizza dati molecolari, per esempio, sarebbe anche molto interessante incrociare questi dati con quelli dei pazienti malati di cancro, la loro storia medica, i farmaci che hanno preso nel corso degli anni. In Italia, in linea di principio, questo insieme di informazioni è disponibile attraverso la condivisione delle cartelle elettroniche. Abbiamo avviato rapporti sia a livello regionale sia nazionale per avere l'accesso a questi dati - sempre nel rispetto della privacy del paziente - per contribuire a fornire informazioni che aiutino a prevedere i trattamenti più appropriati.

Avete intenzione di lavorare anche su modelli animali?

L’uso di modelli animali è essenziali per fare buona ricerca biomedica. Se si vuole testare l'effetto di una particolare componente genetica o metabolica, bisogna poterlo provare su linee cellulari, animali o modelli umani quali gli organoidi. Entrambi hanno vantaggi e limiti. La sfida è capire abbastanza dettagliatamente il cancro umano per poterlo ricostruire geneticamente nei topi.

Avete programmi per attirare fondi anche dal settore privato?

Sì, stanno nascendo interessanti collaborazioni. Per esempio, con un’azienda di microscopia con la quale si potrebbe creare un centro di formazione per l’utilizzo delle ultime tecnologie fornite da questa azienda. Abbiamo contatti anche con fondazioni come AIRC e Telethon per condividere risorse e strumentazioni.

E il programma strategico? Quando sarete pronti per iniziare?

Abbiamo redatto un documento che ha un orizzonte temporale di circa cinque anni. Questo documento definisce le linee progettuali e i tempi realistici di realizzazione degli edifici e delle infrastrutture di cui avremo bisogno per fare ricerca. Nel corso del primo anno saremo impegnati in larga misura nella sola costruzione di edifici per laboratori. Il Consiglio di sorveglianza ha nominato un organismo di consultazione scientifica per valutare il programma. Una volta approvato sarà reso pubblico.

Quando?

Questione di settimane.

Quando ci saranno le prossime assunzioni di ricercatori?

L'ultimo bando uscito i giorni scorsi riguarda i centri di ricerca e in particolare quello di biologia computazionale. Stiamo cercando di identificare il responsabile di questo centro, quindi fra circa un mese vorremmo individuare il responsabile del programma di data analisi sugli aspetti sociali (in collaborazione con il Politecnico di Milano). Questa settimana abbiamo reclutato il responsabile della facility di microscopia crio-elettronica, e molto presto recluteremo altri ricercatori nel settore della genomica. Per i capigruppo, avremo dei colloqui questa estate. Penso insomma che l'anno prossimo cominceremo a vedere un po’ di movimento da queste parti…

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Biodiversità urbana: com'è cambiata e come proteggerla

Anche le metropoli possono essere ambienti ricchi di specie: secondo un recente studio sono ben 51 le specie di mammiferi che vivono a Roma, alcune di esse sono specie rare e protette. Nel corso degli ultimi due secoli, però, molte specie sono scomparse, in particolare quelle legate alle zone umide, stagni, laghetti e paludi, habitat importantissimi per la biodiversità e altamente minacciati.

Nella foto: Parco degli Acquedotti, Roma. Crediti: Maurizio.sap5/Wikimedia Commons. Licenza: CC 4.0 DEED

Circa la metà della popolazione mondiale, vale a dire ben 4 miliardi di persone, oggi vive nelle città, un fenomeno che è andato via via intensificandosi nell’epoca moderna: nell’Unione Europea, per esempio, dal 1961 al 2018 c’è stato un costante abbandono delle zone rurali e una crescita dei cittadini, che oggi sono circa i