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Contro il fumo utile anche la riduzione del danno

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Il fumo uccide una persona ogni sei secondi ed è oggi a tutti gli effetti un'epidemia fra le peggiori mai affrontate a livello globale. L'Organizzazione Mondiale della Sanità calcola che quasi 6 milioni di persone perdano la vita ogni anno per i danni da tabagismo. Fra le vittime, oltre 600.000 sono non fumatori esposti al fumo passivo. Il totale dei decessi entro il 2030 potrebbe raggiungere quota 8 milioni all’anno e se il trend continua come le proiezioni fanno intendere, nel XXI secolo il tabagismo avrà causato fino a un miliardo di morti, colpendo sempre di più soprattutto i paesi a medio e basso reddito, che già oggi ospitano l'80% dei fumatori mondiali. Sono loro, infatti, che mantengono in crescita il consumo del tabacco, nonostante nella maggior parte dei paesi occidentali e ad alto reddito, l'abitudine al fumo sia in diminuzione.

Sono numeri preoccupanti, aggiornati in occasione della Giornata Globale Senza Tabacco, celebrata lo scorso 31 maggio insistendo, quest'anno, sulla interferenza dell'industria: un tema interessante sul quale abbiamo riflettuto anche alla 79sima convention internazionale della Tobacco Merchants Association, che si è svolta a Williamsburg, in Virginia, dal 20 al 22 maggio. Sembra una provocazione, ma non lo è affatto. Se da un lato la distanza fra chi produce e distribuisce tabacco e chi difende la salute pubblica è naturale ed essenziale, dall'altro è ormai chiaro che la lotta al tabagismo non può essere vinta semplicemente alzando ulteriori barricate. Così come accade per un'altra grave patologia, l'obesità, anche per il fumo occorre mantenere aperta la comunicazione e la consultazione con tutte le parti coinvolte, industria compresa, a maggior ragione in un momento come quello attuale che vede nuovi prodotti lanciati sul mercato, molto popolari ma poco conosciuti e affatto regolamentati. Parliamo delle sigarette elettroniche, per esempio: dispositivi dotati di batterie ricaricabili che consentono di inalare il vapore di una soluzione che può includere, ma non necessariamente, anche la nicotina. L'aspetto estetico, la gestualità e la sensazione provata durante l'inalazione sono simili a quelle tipiche delle tradizionali sigarette. Non essendoci combustione, però, scompare il rischio cancerogeno.

Mortiferi eccipienti

Non tutti sanno, infatti, che è la combustione, non il tabacco o la nicotina, a essere la principale causa di tumori nei fumatori. Per questo in gergo tecnico si distinguono gli ingredienti utilizzati per la confezione dei prodotti del tabacco dai costituenti, ossia le sostanze chimiche rilasciate dalla combustione. Sono questi ultimi a nuocere più gravemente alla salute. Ad oggi ne sono stati identificati oltre 5.000, 70 dei quali estremamente pericolosi. Fra le sostanze chimiche sprigionate dal fumo di sigaretta, risultate cancerogene, solo per citarne alcune, si annoverano cromo, selenio, arsenico, nichel, piombo, cadmio e molte altre. Al momento, però, in alcuni paesi, compresi tutti gli Stati Membri della Unione Europea, si impongono la misurazione e tetti massimi di contenuto soltanto per tre sostanze: nicotina (< 1mg / sigaretta), monossido di carbonio (<10mg/sigaretta), catrame (<10 mg/sigaretta).

Ha senso un atteggiamento intransigente?

È ancora lunga la strada verso un'informazione completa, dettagliata e corretta per il consumatore che troppo spesso non sa esattamente cosa inala fumando. Per non parlare della penuria di notizie scientificamente affidabili avallate dalle agenzie di salute pubblica sui nuovi prodotti che promettono un rischio ridotto rispetto a quello generato dalla combustione. Oltre alle sigarette elettroniche, sempre più popolari e anche per questo fonte di grandi polemiche, è giusto ricordare anche lo Snus, un tabacco umido in polvere per uso orale, autorizzato in Svezia dove ha quasi soppiantato il consumo di sigarette.

La ricerca scientifica ha appurato che i rischi legati all'utilizzo delle sigarette elettroniche e dello Snus sono di entità assai inferiore rispetto a quelli derivati dalla combustione della sigaretta, ma c'è ancora una sfiducia diffusa nei confronti dei nuovi prodotti, quindi un freno da parte della maggior parte dei governi a legalizzarne la vendita. Ma soprattutto esiste una ritrosia a utilizzare questi nuovi dispositivi come terapie di sostegno per chi intende smettere di fumare. Sono due, infatti, le strategie di lotta al consumo di tabacco: da un lato il cosiddetto quit-or-die che si concentra esclusivamente sulla cessazione e sull'astinenza, dall'altro l'approccio che contempla anche l'utilizzo di prodotti a rischio modificato, mirati soprattutto a quei fumatori che non riescono ad interrompere la dipendenza dalla nicotina.

Fermo restando che l'impegno principale debba essere in ogni caso l'informazione mirata a scoraggiare l'iniziazione al fumo, fin dalla scuola primaria, ci chiediamo se abbia davvero senso un atteggiamento intransigente che non vuole offrire alternative di provato danno ridotto.

Le tasse fanno male al fumo

Altro argomento fondamentale: i governi continuano a destinare risorse troppo limitate alle attività di controllo sul consumo del tabacco. Con le accise, globalmente, raccolgono circa 133 miliardi di dollari ma ne investono meno di uno; una discrepanza tanto maggiore nei paesi a basso reddito. La rendita derivata dalle tasse sul tabacco è in media 154 volte superiore alla spesa investita per le politiche di controllo. In Italia nel 2006 sono state consumate 95.829 tonnellate di tabacco con entrate fiscali pari a 9,7 miliardi di euro. La tassazione resta un eccezionale dissuasore al consumo di tabacco, specialmente fra i giovani e gli anziani. Si calcola che un aumento del 10% sul prezzo del tabacco ne diminuisce il consumo di circa il 4% nei paesi ad alto reddito e dell'8% nei paesi a basso-medio reddito.

Sono quindi i numeri e i dati ricavati da studi scientifici a indicarci la giusta strada da imboccare: campagne mirate fin dai primi anni di età scolare, terapie di sostegno garantite dal Servizio sanitario nazionale per chi intende smettere di fumare, informazioni più dettagliate e trasparenti sui prodotti in commercio, aumento della tassazione.

IL FUMO IN ITALIA (dati: Istat) 

Nel 2010, fumava il 20% della popolazione femminile adulta e il 24% della popolazione maschile adulta, per un totale di 11 milioni. Fra i giovani a partire dai 15 anni, circa il 20% fuma almeno una volta a settimana. Le vittime del fumo sono 70.000 l'anno, ossia il 15% del totale dei decessi registrati. Per il trattamento di pazienti affetti da patologie attribuibili al fumo di tabacco: 
 - la spesa ospedaliera ammonta a circa 3.4 mld di  (3,5 spesa 2005) 
 - la spesa sanitaria complessiva è di oltre 7,5 mld di  (7,8% spesa 2005) 


 

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