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Un’unica voce: sulla ricerca cambiamo rotta

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Il 15 ottobre è stata presentata la nuova Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia del Consiglio Nazionale delle Ricerche, con dati e proiezioni aggiornati al 2018. Conclusione: la ricerca italiana continua a stagnare da ormai un decennio, anche se con qualche segnale di risveglio. Serve una svolta. Il premier Conte: seguirò personalmente la partita.

La presentazione della Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia del Consiglio Nazionale delle Ricerche è stata l’occasione per tutte le autorità presenti di lanciare l’emergenza ricerca in Italia, invitando il premier Conte, presente nell’Aula magna del CNR, a invertire un trend decennale che vede il paese fermo all’1,2-1,3% dell’investimento in R&S sul PIL, circa la metà della media dell’investimento OCSE.

La nuova Relazione CNR apre significativamente con un’analisi della performance dell’Italia nei progetti europei. Un tema sempre più importante quello dell’Europa, che ogni anno garantisce un decimo del finanziamento della ricerca italiana. Ma si potrebbe fare molto meglio, visto che - come sottolinea uno dei coordinator, Daniele Archibugi, nella presentazione - l’Italia contribuisce di più di quanto riesca a portare a casa, circa il 12% contro l’8% (la Francia 17% vs 11%). L’esempio viene dalla Spagna, che ha avuto una partecipazione ai progetti europei superiore a quella dell’Italia. «Nel nostro Paese il sostegno istituzionale è minore che altrove», ha ricordato Archibugi. Dobbiamo anche prepararci alla Brexit, ragionando su come riempire lo spazio che prevedibilmente la Gran Bretagna lascia con l’uscita dall’Europa.

I dati mostrano anche come la partecipazione risenta di un alto tasso di bocciatura dei progetti, la cui causa va ricercata soprattutto "nella relativa impreparazione dell’amministrazione di enti e università a sostenere i ricercatori nei bandi, ma anche nell'esiguità degli incentivi di carriera per chi si aggiudica progetti" (sulla ricerca italiana in Europa si rimanda anche all'articolo di Luca Moretti su Scienza in rete).

Lo scarso investimento in R&S (pari a circa 23 miliardi di euro all’anno fra pubblico e privato contro, per esempio, i 55 miliardi di euro destinati alla ricerca della Francia e i 110 miliardi della Germania) si traduce inevitabilmente anche in un basso numero di ricercatori, 140mila unità (tempo pieno equivalenti), contro una media europea quasi doppia. Una situazione, quella demografica, difficilmente migliorabile in tempi brevi. «Se guardiamo le proiezioni al 2025, la situazione rimane pressoché costante, in assenza di misure radicali», spiega Archibugi. «Anche la partecipazione di genere è ancora molto forte sia nelle università sia nelle imprese, mentre negli enti di ricerca la forbice fra uomo e donna dovrebbe chiudersi in un decennio».

La Relazione ha analizzato, insieme al numero, anche l’età media dei ricercatori, molto alta rispetto agli altri Paesi: 42,3 nel privato e 48,5 nel pubblico. Pochi, invecchiati e precari, visto che - sempre secondo la Relazione - gli assegnasti di ricerca sono il 20% nell’università e addirittura il 25 negli enti di ricerca. Il precariato cronico che affligge il sistema italiano andrebbe contrastato prima di tutto con «concorsi tutti gli anni, come per le tasse», ha spiegato il presidente del CNR Massimo Inguscio. «Almeno 2000 nuovi ricercatori ogni anno garantirebbero la stabilità dei nostri entri e università», ha commentato Gaetano Manfredi, presidente della Conferenza dei rettori, CRUI.

La qualità della ricerca italiana, notoriamente di buon livello secondo i parametri bibliometrici a dispetto dei bassi finanziamenti, è stata affrontata in un’altra sezione della relazione con un esercizio di analisi dell’impatto della ricerca. Se le discipline biomediche, biologiche e fisiche rivelano un rapporto costi/benefici più ottimali rispetto ad altre discipline, queste stime potrebbero diventare utili per dirigere gli investimenti per rafforzare i settori scientificamente deboli e consolidare le eccellenze.

La quarta e ultima sezione della Relazione riguarda la domanda pubblica di innovazione misurata attraverso l’analisi degli acquisti che contengono ricerca e sviluppo (solo lo 0,15 per cento del valore totale di beni e servizi, pari a 176 milioni di euro). Una quota molto bassa, che da un lato non alimenta l’innovazione della pubblica amministrazione e dall’altro non stimola crescita di settori di ricerca orientati all’innovazione.

Le reazioni dei politici hanno confermato gli indirizzi traspelati i giorni scorsi. Il primo ministro Conte ha annunciato che al Consiglio dei ministri di questa sera (15 ottobre) verrà lanciata l'Agenzia nazionale per la ricerca. «Pur lasciando piena libertà alla ricerca, daremo indicazioni utili allo sviluppo del Paese», ha detto Conte, riprendendo l'annuncio del ministro Fioramonti dei giorni scorsi.

 

Nota: I grafici sono tratti dalla Relazione.

 

 

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