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10 - Gran Premio

Nulla mi concilia il sonno più delle gare di automobilismo. Non è che non mi piacciano, è che molto spesso, dopo aver seguito con molta partecipazione le concitate fasi della partenza, il susseguirsi monotono dei giri, il tono dei commentatori televisivi e il suadente rumore dei motori hanno su di me un benefico effetto soporifero. Probabile, però, che sia semplicemente colpa dell'orario, che spesso coincide con quello del dopo pranzo... Una domenica, appisolatomi come al solito in poltrona nel corso di un particolarmente noioso Gran Premio di Formula 1, avevo deciso di scuotermi da quel torpore con l'aiuto di un buon caffè. Raggiunto dunque il bar, constatavo che anche lì il televisore era sintonizzato sul Gran Premio. Quattro in tutto gli avventori. Uno, il più giovane, era tutto preso - credo - a imparare a memoria la Gazzetta, visto che sfogliava le pagine avanti e indietro e prendeva dettagliati appunti su un foglietto, proprio come si fa quando si è nell'imminenza di un esame (lontani ricordi...). Gli altri due erano presi dalla gara. Mentre gustavo il mio caffè i bolidi sfrecciavano sul rettilineo della pista e la speed trap indicava per ognuno di essi la velocità di punta. Valori da paura per noi miseri automobilisti di tutti i giorni spesso alle prese con i patemi di una possibile sanzione per avere sventuratamente superato i cinquanta su un tratto di strada molto meno tortuoso e trafficato di quel tragitto di gara. Probabilmente tutto dipende del fatto che le nostre quotidiane speed trap abbiano il nome decisamente meno altisonante di autovelox. Ma non divaghiamo. Le prestazioni dei piloti e dei bolidi erano opportunamente sottolineati dalle espressioni di apprezzamento e dai commenti dei due spettatori, evidentemente grandi estimatori delle gare di motori.























Il record di velocità per un mezzo sulla terraferma spetta al veicolo 
Thrust SSC (SuperSonic Car). Il 15 ottobre 1997, con ai comandi
il pilota della RAF Andy Green, raggiunse nel Black Rock Desert 
del Nevada la velocità di 1227,98 km/h, superando dunque
la barriera del suono (Mach 1,02).

(Fonte: WallpaperUp)

Il nuovo record per quella pista, da qualche parte intorno ai 324 chilometri orari, aveva reso particolarmente euforico uno dei due, mio coetaneo, che aveva pensato bene di coinvolgere anche me in quell'euforia. Avvicinatosi, mi aveva pazientemente spiegato che non si trattava di un record assoluto per una gara di Formula Uno. Quello apparteneva al brasiliano Antonio Pizzonia, che nel settembre 2004 a Monza aveva toccato i 368,8 km/h. Interpretando il mio silenzio come un invito ad approfondire il discorso - in realtà era tutta colpa del caffè che non aveva ancora iniziato il suo benefico effetto - stava per lanciarsi sulla Formula Indy e sulle velocità ancora più elevate che la caratterizzano. Fortunatamente la caffeina cominciò a fare il suo dovere e realizzai che non me la sarei cavata in tempi rapidi. Mancavano ancora molti giri al termine del Gran premio e di sicuro quel mio conoscente non se ne sarebbe andato dal bar prima d’allora. Io avrei potuto senza problemi rinunciare all’epilogo della gara, ma dovevo comunque inventarmi una via d’uscita. E poi dovevo vendicarmi di quella dotta - ma non richiesta - lezione di storia dell'automobilismo. 
Fu così che buttai lì un provocatorio «Poca roba, noi adesso stiamo andando più veloci». Approfittando del suo attimo di smarrimento, iniziai a colpire duro con una semplice argomentazione: «Quando eravamo a scuola - nell'altro millennio - ci avevano insegnato che il metro era la quarantamilionesima parte del meridiano terrestre. Te lo ricordi, vero? Questo vuol dire che, se consideriamo la Terra una palla perfettamente sferica, anche la lunghezza dell'Equatore è di 40 mila chilometri...»
Insomma, la presi molto da lontano. Non dovevo insospettire il mio ignaro interlocutore. Incoraggiato dalla sua attenzione, proseguii nella mia manovra: «Immagina ora una persona che se ne sta all'Equatore. Per effetto della rotazione della Terra su se stessa, quella persona ogni giorno compirà un giro completo, cioè 40 mila chilometri. Dato che il giorno è di 24 ore, possiamo calcolare la sua velocità, cioè quanti chilometri compie ogni ora. Una semplice divisione - 40 mila diviso 24 - ci dice che la sua velocità è di circa 1666 km/h, quattro volte e mezzo più veloce di Pizzonia a Monza».
Il calcolo non era difficile e l’aver buttato lì il risultato accompagnandolo con un “circa” lo rendeva meno problematico da digerire. Il mio interlocutore rimase in silenzio. Non so se stesse rifacendo i conti o se cercasse disperatamente un appiglio per controbattere o per accusarmi di averlo preso in giro. Non era certo mia intenzione aspettare la sua reazione per scoprirlo. Approfittando biecamente del suo momentaneo smarrimento, dunque, pagai il caffè e me ne ritornai - gongolando - a casa.
Nel tragitto mi venne in mente che avrei potuto benissimo allargare quel ragionamento anche al moto della Terra intorno al Sole (circa 940 milioni di chilometri percorsi in 365 giorni) e stendere definitivamente quel mio amico e Pizzonia con i 107˙300 km/h risultanti. Troppo difficile. Per farlo avrei dovuto spiegargli che l'orbita della Terra è più o meno un cerchio con un raggio di 150 milioni di chilometri e già per trovarne la lunghezza avrei dunque dovuto appellarmi a un concetto di geometria e al pi greco. Avrei poi dovuto trasformare i giorni in ore: d'accordo, è una semplice moltiplicazione, ma sarebbe stato indispensabile metterla per iscritto e fare il conto. Insomma, avrei rischiato seriamente di perdere la sua attenzione vanificando in tal modo la mia sottile vendetta. Meglio fermarsi al moto di rotazione.
Un po’ mi spiaceva non aver potuto cogliere appieno la reazione del mio conoscente e valutare l’impatto della mia strategia. Ancora oggi, però, sono pienamente convinto che, rimanendo, il rischio sarebbe stato troppo elevato. Che, comunque, avessi in qualche modo colpito nel segno lo scoprii qualche tempo dopo. Stesso bar, stesso orario, stessi bolidi che sfrecciavano in pista e stesso insinuante torpore da combattere. In quella perfetta riproposizione di una situazione già vissuta c'era anche quel mio conoscente. Mi salutò cordialmente, ma non mi parlò più di Pizzonia. Nella breve pausa pubblicitaria ci limitammo a scambiare due parole su di un fallo da rigore nella partita della sera precedente.

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